giovedì 17 gennaio 2013

Didattica ed Università per gli Studenti: le nostre proposte

Queste riflessioni costituiscono una linea programmatica, un Manifesto se vogliamo, di azione volta al raggiungimento di un migliore status per tutti gli studenti iscritti in Filosofia all'Università di Catania in rapporto con l'ambito nazionale ed internazionale. 

Meritocrazia e creditologia:

Non è possibile sostenere, a nostro avviso, la commensurabilità del metro di giudizio basato sul rapporto tra il numero delle pagine da dover studiare e il lavoro effettivo per la preparazione qualitativa di un proprio percorso di studi. Tanto meno per la composizione della tesi. In pratica perciò, secondo il parere nostro, sarebbe opportuno annullare il valore ontologico-contenutistico del cfu, adibendo la sua funzionalità all'esclusivo accordo formale tra le parti (direzione - prof. – studenti) sicché il numero dei crediti potrebbe essere inferiore o maggiore rispetto alle pagine effettive da studiare, avendo così un valore puramente simbolico, non costituendo più nient’altro che questo. Significativo di impegno e non di sforzo nell'elaborazione mnemonica del numero di pagine da esso indicate. Perché la cultura non si basa sul numero di pagine da studiare, ma sul modo in cui ci si approccia ai testi ed alle domande.
In pratica quindi, per fare un esempio banale: fil. morale (9 cfu) potrebbe essere anche di 1.800 pagine, come anche di 100. Il "9" verrebbe assegnato in rapporto non alla materia stessa solamente, ma alla sua importanza nel percorso di studi. 

Poniamo il fulcro dell'attenzione quindi sul fatto che la problematica non consista nel sistema dei crediti, ma nella sua errata applicazione al campo del sapere umanistico.


Chiarificazione dei criteri di giudizio e prospettive di lavoro:

Per una più corretta valutazione, sebbene imperfetta ed approssimativa per sua e nostra costituzione, andrebbero poste più tappe per ogni singola materia. La semplice discussione di dieci, massimo un’ora secondo gli standard, non è adeguata all'analisi delle capacità degli studenti. Si propone quindi che si vengano a costituire dei laboratori di commentatio, disputatio e scrittura creativa in merito ai libri da studiare per l'esame. Valutando anche l'originalità in quanto a proposte di pubblicazione, recensioni, saggi, libri, articoli, conferenze tematiche, giornate studio.
Non è ammissibile che ci si possa laureare disconoscendo la nostra lingua scritta: bisogna essere valutati sia per come si parla sia per come si scrive .
Sui test d’ingresso alla triennale, andrebbero secondo noi valutate sia delle conoscenze di cultura generale ma anche di settori più specifici in base ai corsi scelti. Una valutazione sulla preparazione iniziale per accedere ad una classe è funzionale a conoscere il livello degli studenti e a non far credere loro che l'iscrizione all'università possa essere immediata, scontata, senza il men che minimo impegno o studio precedente.
Inoltre occorre:
- Adottare un sistema di valutazione standardizzato affinché lo studente recepisca chiaramente i criteri della valutazione ottenuta.
- Strutturare sin già dalla triennale dei piani di studio coerenti con l’ambito lavorativo che lo studente intende svolgere, e per chi non intendesse accedere ad una prospettiva lavorativa tramite questi studi, che almeno si indichi per ogni materia un criterio di trasparenza per i possibili indirizzamenti culturali. Costruire dei poli dialettici con ambiti extra-universitari e lavorativi per organizzare un opportuno orientamento per il post-laurea.
- Le interviste periodiche pubblicate sul sito ufficiale dell’Ateneo servirebbero a rendere chiara l’idea dell’offerta formativa da parte dei professori agli studenti, aumentano quindi le piattaforme di dialogo, sanando magari il malcontento generale della classe studentesca che non solo non si sente rappresentata da nessuno ma si sente
abbandonata a se stessa all'interno della Facoltà, dovendo sperare nella magnanimità di qualcuno per cercare chiarezza ai mille problemi che insorgono nella propria carriera.
- Data la scelta universitaria, quindi già specializzante in sé, mutare il Test di Cultura Generale in un test che preveda sì delle conoscenze generiche, ma che implichi riferimenti più approfonditi del corso scelto, visto che la cultura generale non è discriminante della scelta fatta.
- Periodicamente, riunirci in assemblee e discutere democraticamente dei problemi riguardanti gli studi e l’ambiente circostante con inviti rivolti ai docenti e iniziare dei dibattiti. Possibilmente una riunione mensile.

Trasparenza

Chiediamo inoltre la trasparenza totale su ogni cambiamento, modifica del piano di studi, cancellazione di materie per favorirne altre. Spiegare punto per punto in che direzione vengono stanziati i fondi e le nostre tasse.

La strutturazione dei programmi di studio

La strutturazione dei programmi di studio dovrebbe prevedere la possibilità di scegliere in base alle proprie capacità cognitive ed alle proprie aspettative. Perpetrare ancora lo studio manualistico non favorisce una conoscenza adeguata tale da poter lavorare né in ambito filologico (soprattutto se consideriamo la mancanza di materie filologiche nel nostro corso) né, mancando questa base, in prospettiva ermeneutica. Si avrà di converso una conoscenza dogmatica, superficiale, e riferita alla formulazione di paradigmi culturali imposti senza alcuna capacità di potersene distanziare. Aggiungendo inoltre che per una buona preparazione, per lavorare in ambito di ricerca internazionale, pare essere immediato il bisogno di saper tradurre almeno dal latino, dal greco, dall'inglese, dal tedesco, dal francese e dallo spagnolo.
Proponiamo in tal senso laboratori culturali di critica e commento sui testi, da rendere come fondamentali per la formazione dello studente. Gli elaborati esaminati dal consiglio docenti, tramite dei giudizi scientifici, e non di esclusivo gusto estetico, permetterebbero allo studente di confrontarsi, di crescere, di arricchire costantemente la propria bibliografia, essendo assistito da veri e propri prof-tutor. Ogni tre mesi potrebbe essere valutato il lavoro e l'inclinazione del singolo, analizzando le prospettive che potrebbe avere in rapporto alla ricerca personale e, nell'eventualità, accademica.
Non ha senso inoltre che la lezione frontale tratti problemi astratti senza confrontarli con l'attualità e con i problemi quotidiani che dobbiamo affrontare.

Apertura al pluralismo dei saperi:

Partendo poi dall'evidenza per cui con filosofia si intendono correnti, scuole, singoli pensieri, orientali ed occidentali, spesso discordanti fra loro, che vanno approfonditi bene sin dall'inizio, sarebbe lecito - come avviene peraltro in altri contesti - avere dei corsi triennali e specialistici in :

- Filosofia analitica
- Storia della filosofia antica
- Storia della filosofia medievale
- Storia della filosofia rinascimentale
- Storia della filosofia moderna
- Storia della filosofia contemporanea
- Filosofia Orientale
- Filosofia morale
- Filosofia politica
- Filosofia della Mente e Neuroscienze
- Storia delle religioni
- Estetica delle Arti 
- Epistemologia 
- Filosofia teoretica 
- Filosofia della scienza 
- Ermeneutica 
- Antropologia
- Storia delle dottrine politiche

Ovviamente se non vi è la possibilità monetaria per aprire numerosi corsi, intendiamo proporre che lo studente possa letteralmente costruire la sua carriera potendo scegliere da varie facoltà le materie che gli interessa seguire, una forma di meta-studio tra facoltà diverse.
Politica e Università
- Critica alla situazione politica dell'università tramite l'analisi dei programmi elettorali delle varie liste. La trasparenza e la natura apartitica dovrebbero essere l’essenza stessa della politica universitaria filosofica; eliminare ogni presenza di partito nella politica universitaria; la rappresentanza politica fatta da noi stessi, tramite dialogo riguardo i problemi e non tramite rappresentanza di terzi (partiti).
- Firma di questo manifesto con superamento sia del quorum che delle votazioni totali delle singole liste. Manifesto come interesse comunitario, come interesse riguardante ogni studente del corso, senza distinzione di idee e valori; la firma del manifesto interessa lo sviluppo interiore, l’aumento di capacità intellettuale e di consapevolezza di svolgere un lavoro in modo unito con tanto di dialogo, rappresentano quindi una forma costituzionale di rispetto dei diritti di ognuno.

Chi volesse collaborare con noi per il miglioramento di questo documento può contattarci liberamente, siamo in attesa dell'aiuto di tutti. 

La Redazione

Priapo e il suo pene - Francesco Conti


Clicca su Play per il sottofondo musicale


Cosa non fecero per possederla i Satiri, giovani dediti
alle danze, e i Pan con le corna inghirlandate d'aghi
di pino, e Silvano, sempre più giovanile
dei suoi anni, e quel dio che spaventa i ladruncoli
con la falce e il pene!


Ovidio, Metamorfosi, Libro XIV


Statuetta raffigurante Priapo

Priapo o Priapus, era una divinità mitologica nata nell’antica Grecia e il suo culto diffusosi successivamente nell’antica Roma. Di aspetto orrendo, la sua peculiarità consisteva nel possedere un pene di enorme dimensioni. Oggi sembra osceno e immorale immaginare una divinità con un fallo enorme, ma secoli fa, tutto veniva interpretato secondo gli usi sociali e religiosi del tempo, dunque non desti meraviglia se un fallo gigante veniva raffigurato in affreschi, vasi, e i suoi ciondoli appesi a un collo e ad un braccio.

La mitologia narra che Priapo nacque dall’unione di Dioniso e Afrodite, ed Era la regina degli Dei, diede un aspetto orribile e osceno al fanciullo per la promiscuità della madre. Un aneddoto interessante è il suo tentato stupro nei confronti di Estia (dea della casa), durante un banchetto divino in cui gli dei riposavano; il ragliare di un asino destò Estia che cacciò via Priapo ormai pronto a cavalcare la dea; da questo aneddoto la figura dell’asino ricade nell’immaginario di Priapo; l’asino è l’animale più importante nella vita contadina e possiede tra l’altro un pene di notevoli dimensioni. 


Un affresco di Priapo



Spesso la figura stessa di Priapo viene associata al padre, Dioniso, che simboleggia l’energia vitale in natura ove scorre nei mesi estivi e primaverili per poi cessare in inverno e rinascere nuovamente in primavera, (detto popolare “La primavera è la stagione degli amori” ), quel dio che è manifestazione nei frutti, nella natura, e l’uomo se ne ciba, simboleggiando con lui la sua unione. Ecco perché Priapo è il dio che protegge i campi, il guardiano dei vigneti, dei giardini, dei frutteti, dei pesci, delle api, colui che allontana i malocchi e i malefici.  La sua natura ereditata dal padre, è la fertilità, la vita come Zoé (ζωή), il seme (lo sperma nell’uomo) di ogni cosa da cui scaturisce il tutto.


Chi cercherà di saccheggiare con le sue mani
da ladro questo campicello che mi è stato affidato,
sentirà su se stesso che non sono un castrato.
Forse egli fra sé e sé dirà “nessuno verrà mai a sapere che
io sono stato rotto di dietro in questo luogo remoto fra i cespugli”.
Ma si sbaglia, perché la cosa si svolgerà davanti a dei grossi testimoni.

 Carmina Priapea XV – Minacce ai ladri (Virgilio)

Un affresco di Priapo

Per comprendere chiaramente l’immagine di Priapo, bisogna accennare alcuni rituali dell’antichità e precisare la stretta correlazione Dioniso – Bacco – Priapo e tracciare una linea generale della sessualità. Dioniso nel mondo romano assumerà il nome di Bacco e dunque per comprendere Priapo (nella religione, nella letteratura e nella società di allora), bisogna trattare parzialmente quei culti dediti a loro: culti dionisiaci e le baccanali dove la figura di Priapo era spesso presente e associata a loro.

culti dionisiaci erano culti misterici e religiosi in onore di Dioniso e considerate le prime forme di espressione teatrale nel mondo greco. Nell’immaginario comune di questi culti ricadono le orge dionisiache, dal greco (órgia pl.), pratiche sessuali che simboleggiavano la rinascita di Dioniso e dunque della vitalità che inizia a scorrere in primavera. Questi culti si diffusero maggiormente nel mondo romano, prendendo il nome di Baccanali, prevedendo sacrifici animali, processioni (come le falloforie, vedi sotto), orge, danze in onore di Bacco (dio del vino). Il mangiare carne cruda, il cibarsi dei frutti, il danzare con movimenti casuali e prive di regolarità, l’ebbrezza causata dal vino, rappresentavano per questi culti un’unione diretta con la divinità. La divinità e la sua linfa vitale tramutatasi in vino si impossessava dell’uomo, e con ciò si manifestava la contentezza della vita, ci si abbandonava all’ebbrezza e all’estasi.  


“ Evoè ! “ gridavano le Baccanti (sacerdotesse di Dioniso) durante le processioni, un grido come inno alla vita, che non cessa mai di scorrere, che rinasce continuamente dopo la morte. In questo contesto la morte era associata all’inverno, mentre la rinascita era associata alla primavera, ecco perché i culti dionisiaci e i baccanali erano svolte nel mese di Marzo, dove la natura inizia a risvegliarsi e con essa anche la linfa sessuale: la natura e il suo ciclo infinitesimale in morte/vita, inverno/primavera. 

Danze 

I baccanali furono soppressi nel mondo romano il 7 Ottobre del 186 a.c. col SENATO CONSULTO de BACCHANALIBUS. Il senato vietò ciò (si legge nel testo dello storico Livio) per la condotta immorale dei seguaci di Bacco, per la depravazione  e la sodomia utilizzata in tali culti, contrariamente gli storici di oggi ribadiscono che tutto ciò potesse essere solamente opera della fazione conservatrice e tradizionalista del senato (capeggiata da Catone), che riteneva tali culti un pericolo per la società romana e Roma stessa: in massa partecipavano ai baccanali, perfino gli schiavi, e il cittadino romano doveva assumere una posizione attiva nel rapporto sessuale che stava a indicare la sua appartenenza a Roma, mai passiva che rappresentava una condizione di inferiorità (schiavo); il cittadino che aveva un ruolo passivo nei rapporti sessuali era soggetto a multe e a sanzioni e tale legge sembra che venisse aggirata durante un baccanale; inoltre c’è da dire che i baccanali erano organizzati in associazioni e sette segrete, cosa che l’Urbe non accettava per paure di rivolte schiavili. 

[...] A entrambi i consoli fu assegnata la procedura contro le sette segrete.La cosa partì da un Greco sconosciuto che venne in Etruria non gia recando qualcuna di quelle arti che quel popolo maestro fra tutti diffuse fra noi a delizia dello spirito e del corpo; era un praticante di riti e un indovino,e non gia uno che in­sinuasse l'errore nelle menti con pubblici riti,professando apertamente una sua arte a scopo di lucro, ma un sacerdote di riti segreti e notturni: misteri quelli, a cui pochi in origine furono iniziati,e che poi cominciarono a diffondersi senza distinzione fra uomini e donne. Al rito si aggiunsero le delizie del vino e dei banchetti, perché fossero di più le menti attratte nell'errore. Quando i fiumi del vino, la complicità della notte e il trovarsi confusi maschi e femmine, fanciulli e adulti ebbero cancellato ogni limite posto dal pudore, cominciarono a commettersi depravazioni di ogni genere, poiché ognuno vi trovava pronto soddisfacimento per quello a cui eran più portate dall'istinto le sue voglie. E non ci si limitò a un solo genere di malefici, come violenze indiscriminate su uomini liberi e su donne, ma anche false testimo­nianze, falsificazione di suggelli nei testamenti e delazioni uscivano da una stessa fucina, e sempre di là azioni di magia e delitti familiari, al punto che a volte non restavano neppure i corpi da seppellire. Molto si osava con 1'insidia, ma di più con la violenza. A nascondere la violenza valeva il fatto che per le grida e il fragore dei timpani e dei cembali non si po­teva udire la voce di quelli che gridavano aiuto fra gli stupri e le uccisioni […]

Tito Livio, Ab urbe condita, libro XXXIX


Nonostate il senato consulto, i baccanali sopravvissero durante gli anni ma la loro essenza misterica fu  abbandonata, spogliata dal suo punto di vista associazionistico e perpetuandosi come semplici cerimonie divine, per poi riapparire nell’epoca imperiale (I sec. d.c).


Falloforia

Riprendendo l’uso di Priapo, possiamo citare le falloforie, processioni dove si trasportavano enormi falli in legno, (anche decine di metri) con la rispettiva irrigazione del campo con acqua e miele. È chiara l’analogia tra il  miele/acqua con lo sperma del dio Priapo in grado di generare vita nei campi e di proteggerli. Il pene dunque nell’antichità era lo strumento della vita, il VIS GENITALIS (forza generatrice) in natura e la sua forma utilizzata nella società romana.   

 […] in testa venivano portati un'anfora piena di vino misto a miele e un ramo di vite, poi c'era un uomo che trascinava un caprone per il sacrificio,seguito da uno con un cesto di fichi e infine le vergini portavano un fallo con cui venivano irrigati i campi. […]

Plutarco, l’avidità delle ricchezze libro VIII


 Il fallo dunque era un simbolo di prosperità, di fecondità e di protezione contro i malocchi e le maledizioni. Molti cittadini romani e gran parte dei legionari possedevano ciondoli con il fallo di Priapo e le abitazioni il Tintinnabulum, un campanello di bronzo a forma di pene posto all’entrata. Anche nella gestualità quotidiana Priapo ebbe un grande impatto: l’uso di toccarsi i testicoli durante il passaggio di un corteo funebre (toccarsi le parti “vitali”); i testicoli sono il garante della vita contro il malocchio e la morte stessa.


Tintinnabulum



Anche in letteratura riscontriamo la sua presenza, in suo onore furono composte le Carmina Priapea, 80 epigrammi proibiti di cui l’origine ne è incerta con l’aggiunta di poesie di Virgilio, Marziale, Catullo, Orazio, Ovidio. Nonostante il divieto di parole proibite e l’indecenza nell’udir tali parole, il fabbisogno naturale di trattare temi sessuali e di sabotare l’ipocrisia morale e le apparenze del tempo, sfociava nella composizione privata di tali proemi. La maggior parte degli epigrammi priapei tratta la punizione che la divinità può infierire ai ladri, dato che egli è il protettore dei campi e del raccolto e qui sono riportati i numeri 15,18,22,29,50.


Avercelo grande – XVIII
Un vantaggio ben grande ha il mio pene:
che nessuna donna è per me troppo larga.


Pene per i ladri – proemio XXII
Se mi derubano una donna o un uomo o un giovincello,
quella mi offra la fica, il secondo la testa, il terzo le natiche.


Un passante a Priapo – XXIX
Che possa morire o Priapo se non mi vergogno di usare
parole sconce e oscene; ma quanto tu, che sei un dio, lasciato
da parte ogni pudore mi esibisci i tuoi coglioni in
bella mostra, anche a me vien da dire cazzo e fica.


Minacce ai ladri – proemio XV
Chi cercherà di saccheggiare con le sue mani
da ladro questo campicello che mi è stato affidato,
sentirà su sé stesso che non sono un castrato.
Forse egli fra sé e sé dirà “nessuno verrà mai a sapere che
io sono stato rotto di dietro in questo luogo remoto fra i cespugli”.
Ma si sbaglia, perché la cosa si svolgerà davanti a dei grossi testimoni.


Richiesta di una grazia – L
Una certa ragazza troppo falsa (se, o Priapo vuoi concedermi
la tua benevolenza) mi prende in giro, e non me la
dà, ma neppure dice di non volermela dare: sempre trova
una scusa per rimandare.
Se tu farai sì che me la possa godere, o Priapo, cingeremo


Un altro interessante culto simile a quello priapeo e dionisiaco fu il culto di Libero, sviluppatosi dopo la soppressione dei culti baccanali (citati sopra) nelle campagne, con le rispettive falloforie, aspramente criticate da Sant'Agostino :

[…] A una grande sconcezza giunsero i misteri di Libero, poiché lo preposero ai semi liquidi e quindi non solo alle parti acquose dei frutti, fra cui in certo senso il vino ha il primato, ma anche ai semi degli animali. Mi rincresce di parlare di essi perché richiedono un lungo discorso ma ne parlo egualmente per colpire l'ottusità dei pagani. Sono costretto a tralasciare varie notizie perché sono molte. Fra le altre, stando a Varrone, nei crocicchi d'Italia furono celebrati i misteri di Libero con tanta licenziosità che in suo onore si ebbe un culto fallico, e almeno fosse avvenuto in un luogo un po' appartato ma in pubblico con sfrenata dissolutezza. Infatti durante le feste di Libero uno sconcio membro virile, esposto con grande solennità su un carretto, veniva trasportato dapprima in campagna nei crocicchi e poi fino alla città. […]

Agostino , La città di Dio (Libro VII, Il culto fallico di Libero)

Cippi fallici del Salento

Con la soppressione dei culti pagani da parte degli imperatori cristiani, tali cerimonie scomparvero, ma non definitivamente, e tutt’oggi alcune aree del Salento e dell’Italia meridionale conservano inconsapevolmente l’uso di cippi a forma fallica, un simbolo di protezione della terra.

Francesco Conti







Bibliografia
Agostino , La città di Dio (Libro VII)
Carmina Priapea
Plutarco, L'avidità della ricchezze, libro VIII
Robert Graves (19454), I Miti greci
Alberto Angela (2012), Amore e sesso nell’antica Roma , cap. VIII
Wikipedia
www.romanoimpero.com
Tito Livio, Ab urbe condita, libro XXXIX
www.salogentis.it