Stephen W. Hawking
Con Leonard Mlodinow
LA GRANDE STORIA DEL TEMPO
(A brief history of time, 2005)
Trad. di Daniele Didero
Rizzoli, Milano 2010
«BUR Scienza»
Pagine 204
Si tratta di una nuova versione, aggiornata e assai
ridotta, del libro tradotto in italiano nel 1988 con il titolo Dal Big bang
ai buchi neri. Un testo che ha rappresentato una sorta di canone popolare
della fisica contemporanea, in particolare dei suoi contenuti cosmologici.
L’Autore, infatti, così riassume il cammino dell’astrofisica del Novecento:
«Abbiamo compreso l’irrilevanza del nostro stesso pianeta nella vastità
dell’universo, e abbiamo scoperto come il tempo e lo spazio siano curvi e
inseparabili, come l’universo si stia espandendo e abbia avuto un inizio nel
tempo» (p. 102). Si tratta di scoperte o di ipotesi? Se le prime due
affermazioni, infatti, sembrano certe -nei loro contesti- sulle ultime due
invece il dibattito è aperto, tanto che lo stesso Hawking riconosce che una
teoria scientifica «è soltanto un modello dell’universo (o di una sua parte
limitata) e un insieme di regole che mettono in relazione i valori quantitativi
che compaiono nel modello con le osservazioni che facciamo nella realtà. Questo
modello sussiste solo nella nostra mente e non ha alcun’altra realtà (qualunque
cosa si possa intendere con questo termine)» (21).
La teoria che Hawking sta cercando di elaborare nel corso
dell’intera sua attività ha come obiettivo l’unificazione in un Tutto coerente
delle quattro forze che intridono la materia: gravità, forza nucleare debole,
forza elettromagnetica e forza nucleare forte. Nonostante il permanere
dell’irriducibilità tra la prospettiva relativistica e la teoria dei quanti,
l’obiettivo ultimo consisterebbe nel «trovare una teoria quantistica della
gravità, un compito che finora nessuno è stato in grado di portare a termine»
(148). Il fatto è che la relatività
generale ha dei limiti che vanno emergendo sempre più in tutta la loro portata,
implicazioni, conseguenze e che erano chiari sin dall’inizio. Soltanto
l’entusiasmo prodotto da idee tanto nuove e radicali, oltre che il rigore
matematico della loro formulazione, ha nascosto tali limiti. Uno di essi è
davvero clamoroso: «Quando una teoria predice delle singolarità come una
densità e una curvatura infinite, è un segno che dev’essere in qualche modo
riveduta. La relatività generale è una teoria incompleta, poiché non è in grado
di dirci come l’universo abbia avuto inizio» (103). Ma questo non è un limite
della sola ipotesi einsteiniana, è un limite della fisica in quanto tale,
poiché «domande come “Chi ha predisposto le condizioni per il big bang?” non
sono problemi di cui la scienza si occupa» (84). La questione non consiste però nel trovare un nome o una qualsiasi
identità a tale “chi”, il problema è un vuoto epistemologico, è l’assenza di
una spiegazione completa, è la stessa singolarità come ambito nel quale le
leggi elaborate dalla fisica non hanno più valore. Ma il limite più grave è
ancora un altro. Se, infatti, le scienze fisiche ammettessero questo loro confine
esplicativo e si ritenessero -quali sono- un linguaggio tra gli altri con i
quali cercare di comprendere il mondo, ne seguirebbe la totale legittimità e
valore dei loro assunti nello specifico ambito del loro linguaggio. E
invece la fisica contemporanea ritiene spesso -non sempre, per fortuna- di
essere l’unico linguaggio legittimato, autorevole, rigoroso. Tale atteggiamento
si nota anche in Hawking, che nella pagina conclusiva del saggio deplora la
filosofia e i filosofi in quanto i secondi «non sono riusciti a tenere il passo
con il progresso delle teorie scientifiche» e la prima perché si sarebbe
ridotta a una semplice analisi del linguaggio: «Che declino rispetto alla
grande tradizione della filosofia da Aristotele a Kant!» (172).
Ma guardiamo un poco più a fondo dentro le teorie
cosmologiche sostenute da Hawking e da molti suoi colleghi.
L’unificazione dello spazio e del tempo a partire dalle
proprietà della luce è certamente un grande risultato ma non può ergersi a
unica spiegazione della temporalità, la cui identità molteplice è fatta anche
di memoria, attesa, socialità, storia,
biologia e non soltanto di movimenti di particelle. La soluzione al paradosso
dei gemelli consiste nel superamento dell’idea di un tempo assoluto poiché
«ogni singolo individuo ha una propria personale misura del tempo, che dipende
da dove si trova e da come si sta muovendo» (60) ma, ancora, la propria
personale misura del tempo non dipende soltanto dal luogo e dalla velocità del
moto bensì anche dall’essere e dal sapersi parte di un flusso temporale che si
origina nei gangli stessi della corporeità vivente, del Leib.
La congettura della protezione cronologica
proposta da Hawking per evitare le gravi contraddizioni che ineriscono ai
viaggi nel tempo -resi possibili dalla relatività- «afferma che le leggi della
fisica concorrono per impedire che i corpi macroscopici portino informazioni
nel passato. Questa congettura non è stata dimostrata ma ci sono delle ragioni
per credere che sia vera» (141). Di congetture come queste non potremmo
riempire il mondo e i libri allo scopo di superare ostacoli per ora
insuperabili e incongruenze per ora irrisolvibili?
La teoria delle stringhe interpreta la forza
gravitazionale esercitata dal Sole sulla Terra «come causata dall’emissione
delle particelle portatrici di forza dette gravitoni» (153). Sono questo
linguaggio e questa sostanza così diversi dalla vis dormitiva attribuita
da un medico all’oppio e giustamente messa alla berlina da Molière?
Prima di compatire la filosofia e porsi come suo superamento,
i fisici -teorici o sperimentali che siano- farebbero bene a conoscerla meglio.
Alberto
Giovanni Biuso
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