giovedì 17 gennaio 2013

Priapo e il suo pene - Francesco Conti


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Cosa non fecero per possederla i Satiri, giovani dediti
alle danze, e i Pan con le corna inghirlandate d'aghi
di pino, e Silvano, sempre più giovanile
dei suoi anni, e quel dio che spaventa i ladruncoli
con la falce e il pene!


Ovidio, Metamorfosi, Libro XIV


Statuetta raffigurante Priapo

Priapo o Priapus, era una divinità mitologica nata nell’antica Grecia e il suo culto diffusosi successivamente nell’antica Roma. Di aspetto orrendo, la sua peculiarità consisteva nel possedere un pene di enorme dimensioni. Oggi sembra osceno e immorale immaginare una divinità con un fallo enorme, ma secoli fa, tutto veniva interpretato secondo gli usi sociali e religiosi del tempo, dunque non desti meraviglia se un fallo gigante veniva raffigurato in affreschi, vasi, e i suoi ciondoli appesi a un collo e ad un braccio.

La mitologia narra che Priapo nacque dall’unione di Dioniso e Afrodite, ed Era la regina degli Dei, diede un aspetto orribile e osceno al fanciullo per la promiscuità della madre. Un aneddoto interessante è il suo tentato stupro nei confronti di Estia (dea della casa), durante un banchetto divino in cui gli dei riposavano; il ragliare di un asino destò Estia che cacciò via Priapo ormai pronto a cavalcare la dea; da questo aneddoto la figura dell’asino ricade nell’immaginario di Priapo; l’asino è l’animale più importante nella vita contadina e possiede tra l’altro un pene di notevoli dimensioni. 


Un affresco di Priapo



Spesso la figura stessa di Priapo viene associata al padre, Dioniso, che simboleggia l’energia vitale in natura ove scorre nei mesi estivi e primaverili per poi cessare in inverno e rinascere nuovamente in primavera, (detto popolare “La primavera è la stagione degli amori” ), quel dio che è manifestazione nei frutti, nella natura, e l’uomo se ne ciba, simboleggiando con lui la sua unione. Ecco perché Priapo è il dio che protegge i campi, il guardiano dei vigneti, dei giardini, dei frutteti, dei pesci, delle api, colui che allontana i malocchi e i malefici.  La sua natura ereditata dal padre, è la fertilità, la vita come Zoé (ζωή), il seme (lo sperma nell’uomo) di ogni cosa da cui scaturisce il tutto.


Chi cercherà di saccheggiare con le sue mani
da ladro questo campicello che mi è stato affidato,
sentirà su se stesso che non sono un castrato.
Forse egli fra sé e sé dirà “nessuno verrà mai a sapere che
io sono stato rotto di dietro in questo luogo remoto fra i cespugli”.
Ma si sbaglia, perché la cosa si svolgerà davanti a dei grossi testimoni.

 Carmina Priapea XV – Minacce ai ladri (Virgilio)

Un affresco di Priapo

Per comprendere chiaramente l’immagine di Priapo, bisogna accennare alcuni rituali dell’antichità e precisare la stretta correlazione Dioniso – Bacco – Priapo e tracciare una linea generale della sessualità. Dioniso nel mondo romano assumerà il nome di Bacco e dunque per comprendere Priapo (nella religione, nella letteratura e nella società di allora), bisogna trattare parzialmente quei culti dediti a loro: culti dionisiaci e le baccanali dove la figura di Priapo era spesso presente e associata a loro.

culti dionisiaci erano culti misterici e religiosi in onore di Dioniso e considerate le prime forme di espressione teatrale nel mondo greco. Nell’immaginario comune di questi culti ricadono le orge dionisiache, dal greco (órgia pl.), pratiche sessuali che simboleggiavano la rinascita di Dioniso e dunque della vitalità che inizia a scorrere in primavera. Questi culti si diffusero maggiormente nel mondo romano, prendendo il nome di Baccanali, prevedendo sacrifici animali, processioni (come le falloforie, vedi sotto), orge, danze in onore di Bacco (dio del vino). Il mangiare carne cruda, il cibarsi dei frutti, il danzare con movimenti casuali e prive di regolarità, l’ebbrezza causata dal vino, rappresentavano per questi culti un’unione diretta con la divinità. La divinità e la sua linfa vitale tramutatasi in vino si impossessava dell’uomo, e con ciò si manifestava la contentezza della vita, ci si abbandonava all’ebbrezza e all’estasi.  


“ Evoè ! “ gridavano le Baccanti (sacerdotesse di Dioniso) durante le processioni, un grido come inno alla vita, che non cessa mai di scorrere, che rinasce continuamente dopo la morte. In questo contesto la morte era associata all’inverno, mentre la rinascita era associata alla primavera, ecco perché i culti dionisiaci e i baccanali erano svolte nel mese di Marzo, dove la natura inizia a risvegliarsi e con essa anche la linfa sessuale: la natura e il suo ciclo infinitesimale in morte/vita, inverno/primavera. 

Danze 

I baccanali furono soppressi nel mondo romano il 7 Ottobre del 186 a.c. col SENATO CONSULTO de BACCHANALIBUS. Il senato vietò ciò (si legge nel testo dello storico Livio) per la condotta immorale dei seguaci di Bacco, per la depravazione  e la sodomia utilizzata in tali culti, contrariamente gli storici di oggi ribadiscono che tutto ciò potesse essere solamente opera della fazione conservatrice e tradizionalista del senato (capeggiata da Catone), che riteneva tali culti un pericolo per la società romana e Roma stessa: in massa partecipavano ai baccanali, perfino gli schiavi, e il cittadino romano doveva assumere una posizione attiva nel rapporto sessuale che stava a indicare la sua appartenenza a Roma, mai passiva che rappresentava una condizione di inferiorità (schiavo); il cittadino che aveva un ruolo passivo nei rapporti sessuali era soggetto a multe e a sanzioni e tale legge sembra che venisse aggirata durante un baccanale; inoltre c’è da dire che i baccanali erano organizzati in associazioni e sette segrete, cosa che l’Urbe non accettava per paure di rivolte schiavili. 

[...] A entrambi i consoli fu assegnata la procedura contro le sette segrete.La cosa partì da un Greco sconosciuto che venne in Etruria non gia recando qualcuna di quelle arti che quel popolo maestro fra tutti diffuse fra noi a delizia dello spirito e del corpo; era un praticante di riti e un indovino,e non gia uno che in­sinuasse l'errore nelle menti con pubblici riti,professando apertamente una sua arte a scopo di lucro, ma un sacerdote di riti segreti e notturni: misteri quelli, a cui pochi in origine furono iniziati,e che poi cominciarono a diffondersi senza distinzione fra uomini e donne. Al rito si aggiunsero le delizie del vino e dei banchetti, perché fossero di più le menti attratte nell'errore. Quando i fiumi del vino, la complicità della notte e il trovarsi confusi maschi e femmine, fanciulli e adulti ebbero cancellato ogni limite posto dal pudore, cominciarono a commettersi depravazioni di ogni genere, poiché ognuno vi trovava pronto soddisfacimento per quello a cui eran più portate dall'istinto le sue voglie. E non ci si limitò a un solo genere di malefici, come violenze indiscriminate su uomini liberi e su donne, ma anche false testimo­nianze, falsificazione di suggelli nei testamenti e delazioni uscivano da una stessa fucina, e sempre di là azioni di magia e delitti familiari, al punto che a volte non restavano neppure i corpi da seppellire. Molto si osava con 1'insidia, ma di più con la violenza. A nascondere la violenza valeva il fatto che per le grida e il fragore dei timpani e dei cembali non si po­teva udire la voce di quelli che gridavano aiuto fra gli stupri e le uccisioni […]

Tito Livio, Ab urbe condita, libro XXXIX


Nonostate il senato consulto, i baccanali sopravvissero durante gli anni ma la loro essenza misterica fu  abbandonata, spogliata dal suo punto di vista associazionistico e perpetuandosi come semplici cerimonie divine, per poi riapparire nell’epoca imperiale (I sec. d.c).


Falloforia

Riprendendo l’uso di Priapo, possiamo citare le falloforie, processioni dove si trasportavano enormi falli in legno, (anche decine di metri) con la rispettiva irrigazione del campo con acqua e miele. È chiara l’analogia tra il  miele/acqua con lo sperma del dio Priapo in grado di generare vita nei campi e di proteggerli. Il pene dunque nell’antichità era lo strumento della vita, il VIS GENITALIS (forza generatrice) in natura e la sua forma utilizzata nella società romana.   

 […] in testa venivano portati un'anfora piena di vino misto a miele e un ramo di vite, poi c'era un uomo che trascinava un caprone per il sacrificio,seguito da uno con un cesto di fichi e infine le vergini portavano un fallo con cui venivano irrigati i campi. […]

Plutarco, l’avidità delle ricchezze libro VIII


 Il fallo dunque era un simbolo di prosperità, di fecondità e di protezione contro i malocchi e le maledizioni. Molti cittadini romani e gran parte dei legionari possedevano ciondoli con il fallo di Priapo e le abitazioni il Tintinnabulum, un campanello di bronzo a forma di pene posto all’entrata. Anche nella gestualità quotidiana Priapo ebbe un grande impatto: l’uso di toccarsi i testicoli durante il passaggio di un corteo funebre (toccarsi le parti “vitali”); i testicoli sono il garante della vita contro il malocchio e la morte stessa.


Tintinnabulum



Anche in letteratura riscontriamo la sua presenza, in suo onore furono composte le Carmina Priapea, 80 epigrammi proibiti di cui l’origine ne è incerta con l’aggiunta di poesie di Virgilio, Marziale, Catullo, Orazio, Ovidio. Nonostante il divieto di parole proibite e l’indecenza nell’udir tali parole, il fabbisogno naturale di trattare temi sessuali e di sabotare l’ipocrisia morale e le apparenze del tempo, sfociava nella composizione privata di tali proemi. La maggior parte degli epigrammi priapei tratta la punizione che la divinità può infierire ai ladri, dato che egli è il protettore dei campi e del raccolto e qui sono riportati i numeri 15,18,22,29,50.


Avercelo grande – XVIII
Un vantaggio ben grande ha il mio pene:
che nessuna donna è per me troppo larga.


Pene per i ladri – proemio XXII
Se mi derubano una donna o un uomo o un giovincello,
quella mi offra la fica, il secondo la testa, il terzo le natiche.


Un passante a Priapo – XXIX
Che possa morire o Priapo se non mi vergogno di usare
parole sconce e oscene; ma quanto tu, che sei un dio, lasciato
da parte ogni pudore mi esibisci i tuoi coglioni in
bella mostra, anche a me vien da dire cazzo e fica.


Minacce ai ladri – proemio XV
Chi cercherà di saccheggiare con le sue mani
da ladro questo campicello che mi è stato affidato,
sentirà su sé stesso che non sono un castrato.
Forse egli fra sé e sé dirà “nessuno verrà mai a sapere che
io sono stato rotto di dietro in questo luogo remoto fra i cespugli”.
Ma si sbaglia, perché la cosa si svolgerà davanti a dei grossi testimoni.


Richiesta di una grazia – L
Una certa ragazza troppo falsa (se, o Priapo vuoi concedermi
la tua benevolenza) mi prende in giro, e non me la
dà, ma neppure dice di non volermela dare: sempre trova
una scusa per rimandare.
Se tu farai sì che me la possa godere, o Priapo, cingeremo


Un altro interessante culto simile a quello priapeo e dionisiaco fu il culto di Libero, sviluppatosi dopo la soppressione dei culti baccanali (citati sopra) nelle campagne, con le rispettive falloforie, aspramente criticate da Sant'Agostino :

[…] A una grande sconcezza giunsero i misteri di Libero, poiché lo preposero ai semi liquidi e quindi non solo alle parti acquose dei frutti, fra cui in certo senso il vino ha il primato, ma anche ai semi degli animali. Mi rincresce di parlare di essi perché richiedono un lungo discorso ma ne parlo egualmente per colpire l'ottusità dei pagani. Sono costretto a tralasciare varie notizie perché sono molte. Fra le altre, stando a Varrone, nei crocicchi d'Italia furono celebrati i misteri di Libero con tanta licenziosità che in suo onore si ebbe un culto fallico, e almeno fosse avvenuto in un luogo un po' appartato ma in pubblico con sfrenata dissolutezza. Infatti durante le feste di Libero uno sconcio membro virile, esposto con grande solennità su un carretto, veniva trasportato dapprima in campagna nei crocicchi e poi fino alla città. […]

Agostino , La città di Dio (Libro VII, Il culto fallico di Libero)

Cippi fallici del Salento

Con la soppressione dei culti pagani da parte degli imperatori cristiani, tali cerimonie scomparvero, ma non definitivamente, e tutt’oggi alcune aree del Salento e dell’Italia meridionale conservano inconsapevolmente l’uso di cippi a forma fallica, un simbolo di protezione della terra.

Francesco Conti







Bibliografia
Agostino , La città di Dio (Libro VII)
Carmina Priapea
Plutarco, L'avidità della ricchezze, libro VIII
Robert Graves (19454), I Miti greci
Alberto Angela (2012), Amore e sesso nell’antica Roma , cap. VIII
Wikipedia
www.romanoimpero.com
Tito Livio, Ab urbe condita, libro XXXIX
www.salogentis.it









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