mercoledì 17 giugno 2015

Ode al Sicomoro di Natale Anastasi


Quando l'arborea linfa 
divien inchiostro, 
un albero si tornia,
si spreme,
come l'uva in 
rosso sangue, 
vino

Fermenta l'ossigeno:
linguaggio
inspirato in forma di matita,
spirato su 
carta

I cerchi del suo tronco diventan vocali,
consonanti,
e le sue foglie  
fogli,
le sue ombre autunnali, 
parole

La sua corteccia
è ora manto sintattico,
I suoi rami 
righi

Un libro è un sicomoro 
che parla col nostro
dialetto

                                            

martedì 20 gennaio 2015

Retrato stellato, sogno d'arcobaleno di Natale Anastasi


Un retrato
è un sogno che esce e parte alla scoperta,
come un raggio di Sole in un sentiero stellato,
cometico, 
che accompagna una stella cadente
verso l'alba


Un raggio di Sole
che permane
ma non si possiede
si distingue nella nebbia
e compone i sorrisi
e i silenzi
scioglie le ore 
in simultaneità vive
e raccoglie lo spasimo
dei colori


Un retrato compone l'artista
e ne ricompone l'anima 
in un soffio incrostato su tela


Per dar prova che essa esista e ci guidi
l'anima costella un retrato
pennellando coi suoi raggi di Sole
ne distende la strada col suo arcobaleno,
che ci ritrae, che ci riporta 
e ci riafferma i suoi sogni ora segni

Un retrato stellato è la somma della strada percorsa 
e l’anticipazione di quella ancora da percorrere


Dedicato alla mia cara amica Sandra


lunedì 19 gennaio 2015

Emerge il mare di Natale Anastasi

Glauco Cambon, Gabbiani sul golfo di Trieste


Emerge il mare

Da noi il mare,
                                    dalle nostre forme                                     
in apnea
esso emerge

Emerge purpureo
come alghe sinuose
addensate in un chiasmo fatato

Emerge il mare
dai flutti scoscesi
che corallini si stagliano sulle onde

Emerge il mare
ed un vento aureo
che si diparte vespro
dai nostri occhi

Emerge il mare
e ci inabissa
nelle sue profondità

Emerge il mare
dall'amare



venerdì 7 novembre 2014

Considerazioni sulla mia Sicilia dal volto africano di Natale Anastasi

Pensare, o, per meglio dire, riflettere sulle possibilità di una nascita, nonché sulle origini stesse di una Sicilia nordafricana, di questo fazzoletto di terra isolata ma partecipe del mediterraneo, di questo punto fuori una circonferenza continentale che si approssima alla nostra contemporaneità fragile, fornisce all'immaginifico un volto nuovo a questa, a volte mancata, a volte presente, quiescienza ultraterrena.
Quelle palme, quel vulcano, quegli orizzonti, quelle strade laviche, si stagliano come raggi di un Sole apollineo senza meta nell'abisso dei nostri sogni, della nostra jungla metafisica, ancor memori di un vissuto tribale diverticolato dall'arteriosa pressanza del tempo.

venerdì 28 febbraio 2014

La preistoria del segno linguistico di Natale Anastasi e Fabio Platania








Fabio Platania
Ciao Natale, cosa ti ha spinto a voler realizzare questo esperimento?

Natale Anastasi
Beh, volevo rendere interattivi alcuni miei pensieri, facendoli partire però dall'Altro

Fabio Platania
L'Altro sarei io, come un po' tutti, in questo caso?

Natale Anastasi
Sì, su temi non da me predisposti, bensì, diciamo, a random

Fabio Platania
Capisco. Ok. Dunque vedo che già ti predisponi al rapporto "uno/altro" quindi per te in qualche modo è importante la relazione, il metterti in discussione, sì?

Natale Anastasi
Certo, diciamo che sto sfruttando l'occasione per capire quali siano le domande interessanti per gli altri, e quale potenziale possa sgorgare da questo insolito stratagemma. Diversamente avrei scritto un saggio, ma sarebbe stato un discorso tra me e me. E' invece questa una posizione diversa attraverso cui guardarsi intorno

Fabio Platania
Beh in questo senso una domanda come per esempio: 'sei felice?' fa sempre effetto, non trovi?

Natale Anastasi
Beh, se sono felice..cosa intendi per felicità ?

Fabio Platania
Un mondo senza noia, una mente senza noia, e sopratutto un corpo senza noia. Ovviamente tu mi hai chiesto cosa intendo, se poi mi chiedi come fare, è un altro discorso.

Natale Anastasi
Capito. Beh, diciamo che io faccio un discorso alla rovescia

Fabio Platania
In che senso?

Natale Anastasi
Partendo dal fatto che intanto per dirmi felice, dovrei pensare a cosa poter intendere con “felicità”. Magari, per essere ironici, anche sfruttare qualche citazione di qualche pensatore famoso. Però dal mio punto di vista reputo che questo sarebbe come aprire un dizionario e cercare qualche parola ad effetto.

Fabio Platania
Cioè, secondo te, perché la gente apre dizionari?

Natale Anastasi
Per cercare un linguaggio per esprimere ciò che si prova, un corrispettivo semantico da riconoscere ogni volta che si prova la stessa "cosa". In ciò è fondamentale il principio d'identità. Lo vedo come un vizio: quando da piccoli ci hanno insegnato a parlare le parole, ci hanno secondo me insegnato a dare una precisa parola per ogni "cosa" o incognita -come la si vuol chiamare la si chiami- che proviamo. Il che ci porta già all'interno di un cammino preimpostato, fatto di riconoscimenti e associazioni obbligatorie. Di conseguenza, con il progressivo arruolamento scolastico, cominciamo a dover lavorare all'interno di un campo di lavoro in cui viene schematizzato il nostro modo di approcciarci al mondo. Viene fornito un vocabolario alle nostre sensibilità. 

Fabio Platania
L'identità sembra dunque stare alla base della società stessa come fondamento nel passaggio da una forma di stato naturale al più noto spazio interamente socializzato ed urbanizzato, con il quale tutti familiarizziamo.

Natale Anastasi
E quindi iniziamo a dover camminare all'interno del canale linguistico della parola, del significante e del significato, in cui per non ripetere sempre gli stessi "geroglifici muti", ne impariamo sempre di nuovi. Usare sempre gli stessi vocaboli per molteplici fenomeni che si assomigliano pure fra loro, ma che non sembrano identici, genererebbe un'incredibile caos.  Quindi sì, per rendere appunto sempre più consonanti gli interlocutori, omofoni, diciamo, sono stati stabiliti dei canoni, una grammatica di suoni standardizzati in cui muoversi. Parlare con la stessa intonazione, con lo stesso timbro vocalico, e la stessa meccanica comunicativa. Sembra giocare un ruolo fondamentale il principium individuactionis.

Fabio Platania
Per me il linguaggio è come un contenitore, per esempio, diciamo che contenga i 'geroglifici muti', 'buongiorno' e 'buondì'; la parola invece sarebbe per esempio l'individuazione, la scelta e l'uso di "buongiorno" o "buondì" senza pensarci, cioè una significazione istantaneamente presente per un atto comunicativo. Quindi io distinguo il linguaggio come l'insieme di codici e significanti.

Natale Anastasi
Sono d'accordo

Fabio Platania
E la parola come la significazione presente ovviamente agganciandomi al tuo discorso il linguaggio

Natale Anastasi
E' il manuale di guida (o di Giuda)

Fabio Platania
E’ un po' un terreno scivoloso, da dove viene? Dalla memoria? Ma la memoria come funziona? Se memorizzo parole ben fatte qual'è quella memoria che le produce con immagini dei miei ricordi ? E tutto questo ove si mescola con il giudizio nel mio cervello, dove diventa 'parola' ? Il linguaggio per me è ricchissimo è fatto anche dal corpo anche il corpo memorizza di suo e, per esempio, anche il cuore ha i suoi neuroni.
Certo che siamo complessi, perché tutto in noi dice 'presente'?

Natale Anastasi
Allora, procederei per gradi: intanto, cercherei di porre la metafora della sabbia. Se noi cominciamo a passare le nostre dita su di essa, verranno a comporsi dei segni. Questi segni chiaramente possiamo averli fatti perché ci è stato chiesto di farli, e magari anche di farli in quel modo. Adesso, se questi segni che abbiamo fatto sono stati realizzati per commissione, perché ci è stato detto che è importante realizzarli in quanto sono necessari da assimilare per poter stare con gli altri, noi diamo loro una forma da ricordare, che ripeteremo, allenandoci, per essere poi "in grado" di poterli utilizzare in svariate situazioni.
Da qui abbiamo la formazione dei "significanti", le "parole" appunto.

E con il continuo allenamento e con le continue istruzioni per l'uso di questi geroglifici, cominciamo a calarci all'interno del linguaggio sociale.  Ci sono cose che non appartenevano "a questo mondo", ma sono state costruite. L'esempio esemplificativo potrebbe essere, per quanto mi sembra, quello dell'albero e del grattacielo. Il neonato ed il retore.

Fabio Platania
Cioè? l'albero cresce spontaneo ed il grattacielo è costruito? il neonato impara spontaneamente ed il retore costruisce i discorsi?

Natale Anastasi
Ciò che personalmente sta spingendo la mia riflessione è in sostanza dire che ciò che l'uomo ha costruito per esigenze e che adesso è appunto la X attraverso cui passano "tutte le cose che diciamo, visualizziamo e recepiamo" ha diversi strati. Mantenendo fisso il discorso sul linguaggio verbale, ci sono appunto oltre ad i segni dei significanti, l'impalcatura dei significati. Ossia, a mio parere, delle parole di base e delle parole che si sviluppano a partire da esse, che vengono utilizzate con la possibilità che tra un interlocutore e l'altro vengano intese "cose" diverse, parole con piani interpretativi variabili da soggetto a soggetto. Proporrei quindi di assumere per quest'intervista un rigore maggiore nell'uso dei termini che usiamo, in modo da fare un ragionamento a priori rispetto ai contenuti associativi (es. "è come ..") che possiamo attribuire a questi segni che ci stiamo scrivendo.

Fabio Platania
Ok, "parole di base", seguendo il nostro discorso, e pensando a ciò che dissi prima mi suggerisce che tu stia cercando anche qui, all'interno di una stratificazione linguistica, il senso dell'esser presente della parola. Pertanto vorrei introdurre due termini distinti: uno è presenza e l'altro è presente.

Dico che essi stanno in rapporto gerarchico: come la storia contiene le varie epoche la presenza contiene più presenti e per la mente non è possibile, fintanto che pensa, andare oltre la presenza e quindi oltre la storia stessa, ma soltanto oltre tanti e diversi presenti, da qui di epoca in epoca.

Natale Anastasi
Ecco, ciò che hai scritto adesso è un esempio di ciò che intendo dire prima sulla struttura dei significanti. L'utilizzo delle X "presenza", "presente", "mente", "pensa" sono X che fanno riferimento ad altre X precedenti.

Fabio Platania
La significazione necessità di un modello di riferimento e pur tuttavia voler risalire ad una base significherebbe per me tener fermo un significato; la base va oltre il significato e da qui..sembra un circolo vizioso, come quando si afferma per esempio che 'il nulla è', ma il nulla è in quanto non-pensabile

Natale Anastasi
"il nulla è solo nell'essere impensabile": proporrei di lasciare in sospeso per il momento queste elaborazioni linguistiche. Proporrei di assumere un rigore maggiore.

Fabio Platania
Ma un rigore maggiore per me significa essere più preciso nei termini che adotto e quindi spiegare al mio interlocutore perché uso certe parole piuttosto che altre, per me è importante per esempio distinguere tra il verbo "escludere" ed il verbo "negare"; per te magari non lo sarà, pazienza.

Natale Anastasi
Più che "preciso" intendo che si potrebbe usare una parola quanto più possibile svuotata di X "sottintese". Metto continuamente queste virgolette per indicare queste X appunto. Le altre non le evidenzio perché, secondo me, sembrano ai miei occhi "il più possibile non fraintendibili".

Fabio Platania
Ma io non so nemmeno se queste sottintese ci sono già oppure le creo mentre le trovo dentro la parola che sto usando, quindi non saprei proprio come fare, mi viene in mente un altro esempio..

Natale Anastasi
Se tu cominci a lavorare di associazioni mentali, o mi citi parole come "mente", "presenza", "non essere", stiamo discutendo, appunto, sempre in base al modo in cui recepisco questa conversazione, come altro su cui non mi vorrei addentrare, date le precisazioni di cui sopra. Mi spiego meglio: se usi la parola memoria io posso intendere questa X in innumerevoli modi. Ce lo dimostra anche la storia della filosofia. Andiamo invece ancora prima, alla preistoria.

Fabio Platania
La preistoria non è pensabile secondo me, come vorrei dire: sarebbe tuttavia una storia. Da qui il discorso sul nulla.

Natale Anastasi
Andiamo ancora di più al centro della X: ho usato questa parola "preistoria" e tu mi hai detto che non è pensabile senza avermi chiesto cosa intendo con questa "X".

Fabio Platania
Cioè come dici tu da un punto da cui tornare indietro ma andando sempre indietro fino al centro sarebbe come arrivare davanti una soglia, la prima, dalla quale veniamo per esempio, ma andare oltre questa soglia significherebbe secondo me non poter tornare indietro per raccontarlo oppure non poterlo fare. Ci vedo un limite nella faccenda.

Natale Anastasi
Con la X che chiamo "preistoria" indico una "X" che è precedente ad altre X, e con "precedente" indico una "X" da cui si sono praticamente "realizzati" i significati, le declinazioni. La "X" del solo significante, che non implica quindi il significato. Un segno. Punto.
Riesco a spiegarmi ?

Fabio Platania

Natale Anastasi
Io partirei da qui

Fabio Platania
Ma questo segno è intelligente secondo me

Natale Anastasi
Se discutiamo del "segno", il significante con significato X che gli hai scritto dopo, ossia "intelligente" va ancora troppo oltre. Mi piacerebbe se riuscissimo a discutere esclusivamente su "X"

Fabio Platania
Non è possibile secondo me proprio perché saremo sempre noi a decidere e ridurre fino ad una 'preistoria del segno', credendo di poter isolare come isolassimo un polmone dal resto del corpo. In questo senso invece la parola invece è 'viva' secondo me




Natale Anastasi
Ecco, questo pensiero "X" mi piace. Questo che hai scritto sembra proprio ribadire che il segno senza segno/significante non possa essere indagato. Ma secondo me questo è "possibile". Da qui parte la mia ricerca. Siamo sempre con questa bella "X", il geroglifico, il segno che non capiamo, che non sappiamo da dove venga, ma che i nostri occhi vedono. E c'è una lotta per servirci di questa "X", come ci è stato insegnato a scuola. Questa X [ linea chiusa "è una palla" , ma può essere se fatta allungata e stretta ai lati "uno Zero" ].

Ho messo tutto tra parentesi quadrata e poi tra virgolette per spiegare meglio che "un insieme di X più grande ne comprenda uno più piccolo". E se ci hai fatto caso, ho cominciato ad introdurre le "associazioni linguistiche": ossia X da cui ---> X+X=X2.

Adesso, ti proporrei di dirmi cosa sto cercando di esprimere. E' una parte dell'esperimento. Ah, se hai notato, queste X che scrivo senza metterle tra virgolette, prese singolarmente non ti portano ad associarle a niente. Come la parola "inconscio". Solo a dire che sono segni visibilmente scritti che non si assomigliano "graficamente".

Fabio Platania
Come dire che l'essere umano si dà degli strumenti per vivere e poi però queste tecnologie dominano interamente la sua vita

Natale Anastasi
Esatto è come quell'esempio che la psicologia ci fornisce, quello delle illusioni ottiche. Chessò specie quella del candelabro che potrebbero essere anche due che si baciano, ricordi ?

Fabio Platania

Natale Anastasi
Ecco! ti sei mai chiesto come mai non si pensa che potrebbero essere solo delle linee ? le si associa subito ad una figura di senso e con "figura di senso" indico una serie di "XXXX" riconosciute da più esseri umani

Fabio Platania
Questa figura di senso nascerebbe allora anche se osservo un albero e poi realizzo un palo della luce

Natale Anastasi
E con "riconosciute" intendo dire che quelle "XXXX" sono "famose" e vanno "conosciute" perché "non possiamo farne a meno di conoscerle"

Fabio Platania
Cioè ciò che mi rimane sarebbe la forma allungata e snella traducibile in una serie di x no?

Natale Anastasi
Sì, ma qui siamo andati avanti col "ragionamento": siamo passati al condizionamento che un segno esercita su di noi sì, quella forma, e che cosa succede se una persona viene indotta da un segno a comportarsi in un certo modo? cioè, tu hai associato "l'albero" al "palo della luce" e c'è chi l'ha costruito, e ancor prima chi l'ha inventato "dal nulla", dal dissimile, da altro ancora. Perché mai c'è stata quest'associazione?

Fabio Platania
Ma questa "forma", in generale, non ci fa forse pensare (voglio usare una metafora)e domandare quale sia "il destino della farfalla"? Come se il discorso facesse linea a due domande. La prima: "c'è una sostanza che sta alla base del bruco che diventa bozzolo e del bozzolo che diventa farfalla?" Quindi: "c'è una sostanza oltre la forma?"; la seconda domanda: 'la farfalla vive un giorno, quindi è davvero sua preoccupazione sapere cosa ci sia oltre il gioco di forme?" ossia: c'è sostanza oltre il tempo?

Natale Anastasi
Torniamo al paralogismo di prima: parlare di una "X" tirandone in ballo un'altra. La "sostanza" se la vediamo come un segno sulla sabbia, resta lì, come anche il segno della x chiamata "forma". Lo stesso per il continuo di ciò che hai scritto.

Fabio Platania
Magari la sostanza la sentiamo più che vederla

Natale Anastasi
Secondo me la sfida è invece quella di precedere l'associazione linguistica, ed uscire dal "segno" stesso. Come?

Fabio Platania
Se disegno tanti cerchi e li coloro in maniere diverse posso dire che tutti hanno in comune la sostanza cerchio. E quindi sarebbe come osservare la "forma"; ma se dico invece che la sostanza cerchio viene disegnata nella mia mente nel momento in cui la penso allora questa sostanza va oltre il tempo stesso che ci ho messo per pensarla: cioè in questo secondo caso è come venisse dal nulla, come dicevi tu, commenti addietro

Natale Anastasi
E' questa la cosa!
E cosa intendere con "sostanza"? Perché questa X ha oltre un significante un significato su cui riflettere, per te? Non è sempre un segno scritto sulla sabbia ? Invece che venire "dal nulla", ossia da una "X" artificiale, proviene da "altro" da ciò che non è un "segno"

Fabio Platania
Sì ok, io direi: nulla come diverso

Natale Anastasi
E io te la rigiro: cosa intendere con "diverso" e cosa, a questo punto, con "rivoluzione"? Per me sono solo X linguistiche, segni del linguaggio convenzionale.

Fabio Platania
Lo sapevo ahahahaah

Natale Anastasi
ahahaha

Andando quindi avanti, passiamo finalmente al ruolo della metafora: "che rumore fa una mano sola che applaude?" Questo esempio della tradizione zen ci spiega come avere la percezione della "vacuità" del: non so perché non immagino cosa rispondere a questa domanda. Ma il dialogo comincia da questo "non so". 

Fabio Platania
Il segno sulla sabbia, per me è come la luce che entra dallo spiraglio di una finestra cioè è 'uno': non permane in quel luogo, ma c'è  

Natale Anastasi
Quindi per tirare le somme si parte da quest'esperienza del non sapere cosa dire, e cosa "immaginare", arriviamo al "non-pensiero" che "non è X", né il suo opposto, ma è proprio "una cosa nuova", tutt'altro che un "segno". Adesso, per concludere, la mia ricerca parte da queste riflessioni qua. E sto cercando di andare avanti con altra roba. Magari ne parleremo un'altra volta. 

Fabio e Natale:
That's all folks

"A me sembra che anche i saggi di Egitto abbiano compreso tutto questo o per scienza esatta o per intuizione innata: essi, quando volevano rivelare la loro sapienza, non si servivano dei segni delle lettere, che designano parole e proposizioni ma non corrispondono alla pronuncia e al significato delle cose dette, ma disegnavano figure <geroglifici>, ciascuna delle quali significava una singola cosa, e ne decoravano i templi per mostrare che il procedimento discorsivo non appartiene al mondo di lassù, in quanto ciascun individuo è anche una scienza e ciascuna figura è sapienza, soggetto e sintesi, e non un pensiero discorsivo né un progetto.
Più tardi, da questa scienza così sintetica derivò un'immagine che è tutta dispiegata in altra cosa e si esprime nel processo discorsivo e scopre le cause da cui una cosa deriva, sicché ci si meraviglia di una cosa tanto bella. Quando qualcuno sa, non può non dire di ammirare la sapienza, cioè come essa, pur non possedendo le cause, per le quali tutti è così come è, le elargisce alle cose prodotte su suo modello.
E così, ciò che è bello come s'è detto, e ciò che risulta appena o in nessun modo da una ricerca - qualora qualcuno cerchi perché debba essere così - esiste in questo modo prima di ogni ricerca e di ogni ragionamento" (Plotino, Enneadi V 8, 6).






giovedì 20 febbraio 2014

CALLING ANY STATION L'ALBUM CHE CI PROIETTA NEL FUTURO

Ennesimo capolavoro dell'artista Claudio Quartarone. 

Il suo tredicesimo album, che porta il nome di Calling Any Station, presenta interessanti spunti musicali futuristici in tutte le sue 8 tracce, in particolar modo nei pezzi Birds e Cartoon per l'efficacia e la mescolanza dei timbri; ma anche un sound raffinato ed elegante come nella traccia Dna.

Particolarmente interessante è Felipe, dove Quartarone racchiude uno spettacolare e inaudito mix tra la sua chitarra e la musica elettronica, un'altra dimostrazione di coraggio dell'artista sempre alla ricerca di suoni innovativi che denotano grande crescita e maturita' musicale. 


Bellissimo poi il connubio jazz-elettronica della traccia denominata Jaxx chiaro riferimento agli stilemi jazzistici ma rielaborati in una chiave assolutamente inedita quasi a voler rimarcare l'originalità ma allo stesso tempo la conoscenza della tradizione jazzistica.
Adrenalina pura invece nelle tracce Main Stream e One And Everything con evidenti echi rock. L'album e' gradevole all'ascolto, molto orecchiabile e coinvolgente. Un'esperienza eclettica della quale non poter fare a meno.

Filippo Scalia

https://soundcloud.com/claudioquartarone/sets/calling-any-station

domenica 5 gennaio 2014

? di Natale Anastasi



Non è mai semplice decifrare una situazione in cui il soggetto si trova, per così dire, invischiato. E’ sempre un lento processo di autoanalisi, di meditazione, in cui il tempo sembra essere condizionato dalla metamorfosi dei segni, dei concetti, delle immagini, dai condizionamenti, dall’inconscio, e delle metafore che a poco a poco vengono assemblate in forme, in parentesi, in un mosaico che dai chiaroscuri si distende, man mano che le intuizioni vengono memorizzate e cristallizzate forse in un bozzolo di ideali, emozioni assimilate e sogni sviscerati. Se vogliamo questo processo è come i passaggi di stato dell’acqua. Senza però un ordine naturale e possibilmente lavorando in contemporanea a più strati e stati: a volte la nebbia generata dal ghiaccio fuso, a volte lo stato liquido parcellizzato in gocce gelate distanti tra loro da sottili strati di vapore acqueo.
E forse è la caparbietà, la fragilità, l’impressionabilità, la voglia di comunicare che si trova invischiata a non poter fare a meno di scrivere, ad ascoltare, a far vibrare le note che da uno spartito saltano su un documento word, che fa sì che nasca qualcosa. 


Invischiati nella creazione di una melodia ad un richiamo sonoro ed incollarvi sopra delle parole che un po’ per finta, un po’ per gioco, un po’ come rito catartico, balzan fuori irridendo il compositore, segnando un solco sulle cronistorie di piccoli vissuti richiamati a “senso”.
Scrivere una canzone, stabilirne una metrica ritmica e una struttura armonica, inventarsi questa melodia diventa come il centro assorbente di tutta la propria esistenza in un punto che va quindi tracciato. Al di là dei perché, un flusso. 


Ed “è” proprio la matericità dell’acqua, la metafora, ad investire i suoni, a colorarsi e sfumare questi geroglifici. Non sento di voler “recensire” la musica perché non saprei come fare. Non saprei dire cosa provo ascoltando questo pezzo e nemmeno come comunicarlo. Non mi piacerebbe addossare o associare i disegni stampati sui miei occhi, sulle mie dita e sulla mia lingua. Posso soltanto usare il silenziatore, e buttare qualche immagine qua e là. 


Scritto ciò, l’immagine che vi propongo ha 5 tratti. Non immagino come voi immaginiate le immagini o come volete chiamarle voi. Al centro la commemorazione del trentesimo anniversario dalla scomparsa di Pippo Fava. Pippo Fava, l’acqua ed il disegno. Le altre due ve le comunicate da soli con questo pezzo dei 24 Grana, pittori di strade.
 Viuzze dantesche, crocicchi speziali. Fatene ciò che volete.