lunedì 8 luglio 2013

Perché non ha senso iscriversi a Filosofia, di Natale Anastasi

Qui di seguito commento l'articolo di Diego Fusaro, "Perché ha senso iscriversi a Filosofia".

Mi annoiano sin troppo ormai queste classiche espressioni di autoreferenza secondo cui studiare filosofia nobiliti l'animo e renda la persona socialmente interessante a priori, perché la filosofia dovrebbe essere la 'scienza prima'. Motivo per cui ho deciso di scrivere la mia personale opinione. Del resto, queste posizioni primitive, non posso non criticarle. Nulla di personale, sia chiaro. 




Vorrei analizzare un attimo quanto scritto: 

«Scegliere un buon ateneo, con professori noti, che scrivano libri, articoli e partecipino al dibattito contemporaneo: vuol dire che il pensiero che ti insegnano è concreto, calato nella realtà. Questo aiuta poi a trovare la seconda delle condizioni favorevoli: un buon maestro».


Trovo che scegliere un buon ateneo, nel contesto italiano, sia un pò tautologico. Questo in considerazione dell'abilitazione all'insegnamento, della scrittura di articoli, libri e di partecipazione al "dibattito contemporaneo". Ciò è evidente se si segue difatti bene la crisi odierna e i risultati alquanto opinabili dell'altrettanto opinabile tfa, o della crisi nel mondo della stampa, delle incredibili prove per il patentino da giornalista. Scrivere nelle riviste, in quelle assolutamente LIBERE e DEMOCRATICHE, in cui si può scrivere senza nessuna censura e senza nessuna imposizione, non credo sia una fonte di reddito, anzi è fare la fame. 

E poi: il mercato dell'editoria per quanto riguarda la letteratura filosofica è inutile negare quanto faccia acqua da tutte le parti. Soprattutto per quanto concerne le pubblicazioni inedite e non le solite declinazioni dei soliti paradigmi della filosofia classica (scrivere di Hegel, Marx, Platone, Heidegger, Aristotele, ecc.). 

Inoltre se "la filosofia non serve", caro Diego Fusaro, il pensiero può davvero essere concreto? Mi sembra "realmente" una contraddizione in termini. Mi sembra un paradosso. "Che sia calato nella realtà", mi sembra anche questa un'espressione assai vaga, che lascerebbe intendere una sola visione da applicare come evidente alle mille strutture che, in quanto dinamiche, per definizione, non possono essere racchiuse in un'ideologia ferma e 'macrostrutturale'. Chi dice cosa sia la realtà, e chi dice che il "dibattito contemporaneo" debba essere seguito, contemporaneo per chi poi? Per il San Raffaele? 

Mi sembra che manchi il pluralismo, e che vi sia solo un tentativo di rafforzamento delle auctoritates dominanti e dell'ideologia imperalista e liberale che ha generato e continua ad alimentare questa crisi economica! Ricordiamo il baronaggio, ricordiamo Norman Zarcone per un attimo. 

Mi sembra una visione un pò troppo generalista e semplicistica. 

Ed è innegabile che non tutti possano accontentarsi di lavorare da storici della filosofia accademica. Vogliamo inoltre negare o vogliamo considerare in modo adeguato che le facoltà di filosofia si ergono ancora su un sistema scolastico primo novecentesco - di stampo fascista - e continuano a propinare una cultura in pillole a dosi di manuali e manuali? Non tutti gli studenti possono accontentarsi di avere così pochi corsi di studio, con dei programmi scelti esclusivamente dai professori, su cui non si ha quasi per nulla voce in capitolo e così chiusi alle prospettive diverse da quelle ormai territoriali. 

Che si sia rimasti indietro sia sul campo della ricerca che sul campo dello studio critico, mi sembra anche questo un dato innegabile. Siamo ancora affetti, in molti casi, e senza generalizzare, secondo me, dallo "storicismo idealista hegeliano" e tanto "varrebbe" prenderne atto. E non tutti, proprio perché la filosofia secondo alcuni apre la mente, possono ragionare secondo gli schemi di questa logica. 

“C’è chi si perde nel deserto perché con il pensiero è rimasto nel mondo, e c’è chi si salva perché, pur essendo nel mondo, è nel deserto con il pensiero”.

In Italia dovremmo prendere in esame altre realtà storiche come Eraclito, Gorgia, Wittgenstein, Nietzsche, Jung, che personalmente ritengo possano essere interessanti sia come spunti di riflessione sia per una critica INEDITA ED ATTUALE della nostra contemporaneità e che invece mi sembra vengano tramandati secondo visioni uniche; visioni ad una sola direzione più per mantenere in auge i soliti volti noti che per la divulgazione del sapere (il pensiero di x era che...). Lo stesso per la critica all'economia marxista: in quale università si studia il fenomeno del signoraggio? O siamo ancora fermi alla dialettica servo-padrone e a ciò che "realmente" si voleva comunicare nel secolo decimonono?

Vogliamo inoltre parlare delle gravissime mancanze della filosofia accademica in merito alle ricerche della fisica quantistica, della biologia, della psicologia, e del pensiero orientale?

E per non restare nel vago, posto un Manifesto che scrissi con un collega circa la situazione della nostra facoltà. Si consiglia inoltre anche questa lettura sulla situazione che vive l'Università italiana oggi. 

Aggiungerei in chiusura che non è l'indirizzo scelto a determinare il presente ed il futuro delle proprie inclinazioni ! Studiare si può benissimo da soli, si evitano le influenze esterne indesiderate e si può approfondire adeguatamente il proprio percorso.  

Sarei altamente curioso di sentire se nelle altre città le dinamiche sono diverse da quelle che critichiamo noi. E chissà cosa direbbero Don Verzè e soprattutto....Norman Zarcone a riguardo !


"Quando un uomo comune, attinge alla conoscenza, è un saggio; quando un saggio attinge alla comprensione, è un uomo comune." (Detto zen)




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