martedì 20 novembre 2012

Il Favoloso Mondo di Amélie



Si potrebbe stare ore a commentare le dinamiche psicologiche presenti in questo film. Non posso non notare come tutte le dinamiche esistenziali di Amélie derivino da un conflitto edipico non risolto con i genitori, in particolar modo con il padre. Quest’ultimo, un genitore assolutamente metallico, non le dona affetto, evitando ogni tipo di contatto fisico. I suoi atteggiamenti ossessivi, come stare attento che il costume da bagno non si attacchi in maniera aderente al corpo, oppure, l’impossibilità da parte sua di stare accanto ad un’altra persona nei bagni pubblici, pur essendo dello stesso sesso, mostrano sicuramente molti blocchi emozionali legati all’intimità e alla capacità di entrare a contatto con le emozioni. Il contatto fisico che dovrebbe avere con gli altri e con sua figlia in particolare, non potendo essere espresso liberamente, viene portato alla coscienza dal padre di Amélie, sotto forma di malattia da curare. A mio avviso, non a caso sceglie di esercitare la professione medica.
E’ il suo unico modo di vivere, di portare nella realtà, seppur in maniera distorta e mascherata, l’impulso bloccato di contatto fisico e affetto. Ecco che la condizione di vita di un personaggio, viene vista da quest’ultimo, come una scelta, in questo caso professionale, piuttosto che come costrizione legata a traumi infantili. Il coma della vicina, per esempio, diventa per Amelie una scelta, non una costrizione. Lei immagina che la signora abbia scelto di dormire tanto per poi stare sveglia tutte le notti. Ma in maniera celata e rielaborata, la condizione di stasi, di morte della signora rispecchia fedelmente la condizione di Amélie che lei stessa non accetta e maschera come scelta di vita, modo di essere, originalità e unicità. Stessa sorte tocca al pesciolino rosso. Anch’egli diventa metafora della vita psichica di Amélie.
Di fatto, diventa interprete del suo inconscio, soddisfando una pulsione che lei non ha il coraggio di soddisfare, ovvero il tentativo di suicidio. Ed è di quest’ultimo che la madre ha un arcaico terrore, e sempre a causa di quest’ultimo, non a caso, che perderà la vita. Ma la vita, quella di Amélie va avanti così. La dinamica non risolta con il padre, la porterà ad avere numerosi scontri nel suo percorso. Il primo di questi è un signore che la convince del fatto che la sua macchina fotografica provochi incidenti. Ancora una volta in lui, Amélie proietta quell’ atteggiamento castrante, quell’impossibilità di espressione, di godere della vita, che ha sempre subito da parte del padre e, pertanto, decide di vendicarsi sabotando l’antenna del vicino. Il padre e la madre sono, infatti, soggetti psicotici che sembrano influenzare negativamente l’esistenza della protagonista fin dalla tenera età.
L’autore si diverte a descrivere i personaggi attraverso l’elenco delle cose che piacciono o non piacciono a loro. Lei scappa dalle emozioni forti, non essendo stata allenata dai genitori a riceverle da piccola. Infatti, ad Amélie piace, come dice la voce fuori campo, andare al cinema. Ma mentre tutti guardano i due innamorati travolti da un bacio passionale, lei preferisce evitare di entrare in contatto con se stessa, con il suo problema, posando il suo sguardo su un particolare insignificante, la mosca sullo schermo, oppure, guardando i volti delle persone presenti.
Le espressioni del pubblico le permettono di sentire le emozioni della scena non in maniera diretta, ma attraverso un filtro. Tra le cose che non le piacciono ci sono i film americani in cui il guidatore non guarda mai la strada. Inconsciamente lei non accetta questa parte di se, che la porta ad essere fuori dalla realtà, a non “guardarla negli occhi” e che il suo inconscio proietta nel guidatore disattento.
E diventa così, metafora di un mondo che si aggrappa a soggettive certezze, a quotidiane abitudini, a miti fasulli o a illusioni. Come la fantasticheria sul signore delle fototessere. Per lei è “un fantasma che cerca di non farsi dimenticare dal mondo sensibile, lasciando le sue tracce impresse sulla carta fotografica”. In realtà, con queste parole lei descrive se stessa. Il signore è semplicemente un tecnico, pertanto l’intera vicenda è soltanto una proiezione della sua condizione, del suo disagio e del suo dolore. Disagio questo, che giustificherà, mascherandolo in un compito supremo, assegnatogli quasi come se fosse una martire. Infatti, la morte di Lady D evoca in lei l’Immagine del suo funerale pieno di gente, simboleggiando inconsciamente il desiderio di essere riconosciuta, di non essere un “fantasma”, di esistere, sforzandosi di trovare un senso al suo dolore. Ma in merito, avrà un aiuto, un aiuto formidabile, da una persona che in realtà rappresenta simbolicamente il possibile futuro di Amélie, quello che sarebbe destinata a diventare. L’uomo di vetro, dal nome decisamente simbolico, le fa capire che lei è ancora in tempo per cambiare il suo destino, il proprio copione disfunzionale.
E’ ancora in tempo, per pensare a se stessa, per non trasformare il suo corpo nella rappresentazione fisica della sua psiche: fragile, incapace di affrontare il mondo, di scontrarsi con esso e di crescere. L’uomo di vetro, pur essendo un vecchio, paradossalmente, è rimasto sempre bambino. La sua casa imbottita, sicura, rappresenta quell’ambiente materno che non è riuscito mai ad allontanare, l’utero.
La paura di morire, della “fine” di una vita, che cerca di combattere nell’immutabilità della pittura, lo porta addirittura ad evitarne “l’inizio”. Egli, non è una persona morta, è una persona mai nata. Tuttavia pur essendo bambino, ne diventa fisicamente l’antitesi. La sua rigidità mentale, in contrasto con la morbidezza infantile, si manifesta attraverso un disturbo psicofisico che porta le sue ossa a sgretolarsi. Ciò che è rigido si rompe, ciò che è elastico si adatta, sopravvive. Egli è privo di quella elasticità fisica ma soprattutto mentale, necessaria per affrontare la propria esistenza.
E’ riconoscendosi in Amélie, che riesce a consigliarli una strada diversa, da quella che lui ha intrapreso tempo fa. E’ ancora in tempo per essere simile al bambino che nuota nell’acqua visto da lei nella videocassetta. Un’altra persona con cui Amélie si scontrerà è, senza dubbio, il verduraio Collignon. Ancora una volta il conflitto edipico non risolto, l’esperienza negativa con il padre, la porta a non tollerare questo personaggio, freddo, insensibile, “senza cuore”, cosa che anche i carciofi che vende hanno, dice la nostra Amélie! Egli non può fare a meno di trattar male il povero Lucien, nel quale l’uomo vede tutto ciò che egli non è riuscito ad accettare di se stesso. Tutto ciò che il suo io, la sua esperienza di vita hanno scartato e messo da parte. La situazione di Lucien, a sua volta, fa da specchio ad Amélie che, ogni volta, rivede inconsciamente davanti a se, l’atteggiamento castrante, anti creativo, che le impediva di frequentare gli altri bambini, come a Lucien è impedito di parlare e di interagire con i clienti. Nasce un feeling. Ovviamente per Lucien l’arte, il modo creativo di interagire con i clienti che mostrerà successivamente, o di dipingere a casa dell’uomo di vetro, diventa l’unico modo di far uscire una carica psichica molto forte, messa continuamente a tacere. Lucien dipinge perché gli è stato proibito di vedere.
Quando denigra Collignon, al posto di parlare, urla, perché gli è stato proibito di parlare. Ovviamente, in termini psicologici, la struttura fisica diviene rappresentazione materiale della struttura mentale. L’uomo di vetro fragile, magro. Riprende le caratteristiche fisiche della struttura schizoide. Lucien, massiccio, riprende le caratteristiche di una struttura tipicamente masochista, se vogliamo, in termini di AT (analisi transazionale), un bambino adattato negativamente. Ma gli specchi non finiscono per Amélie. Un altro è senza dubbio Dominique Bretodeau. Il contrasto che da piccolo ha con l’insegnante, che non gli permette di godere della sua vincita, del suo successo, privandolo della sua autostima, umiliandolo in pubblico e facendogli perdere le biglie vinte al gioco, segnano in maniera traumatica questo persona. Egli, è un altro personaggio castrato da una figura adulta, in Analisi Transazionale, potremmo definirlo un’azione normativa negativa.
L’insegnante, nella mente del povero Bretodeau, fa associare il successo al dolore, la vincita alla perdita, trasformando il successo in una cosa da evitare in futuro. Cosa che purtroppo accadrà! Tutte le cose, i fatti sembrano essere legati insieme. Ma di chi è la regia di tutto questo? Senza dubbio di Amélie, anche se vivrà senza averne piena consapevolezza. Ma, a mio avviso, la cosa più interessante è che tutti i personaggi diventano simboli di una situazione molto più ampia. La loro vita, rappresenta la vita della società intera e di tutte le disfunzionalità che ne caratterizzano lo sviluppo, prima a livello familiare, poi scolastico e così via. Infiniti copioni, mappe cognitive vissute tutte in maniera inconsapevole. Non c’è salvezza neanche all’interno della coppia. Infatti le tre coppie (i genitori di Amélie, i genitori del fruttivendolo, la tabaccaia e il cliente geloso) non comunicano tra loro.
Quello che vediamo è solo gelosia, routine, incomunicabilità e il sesso è, ancora una volta, solo un’esperienza in-sensibile, da porno shop. L’incapacità di entrare in intimità, prima con se stessi, e poi con gli altri, sembra un impresa impossibile per i personaggi di questo mondo. Eppure, tutti sono spinti, chi più chi meno, a eliminare questo bisogno di solitudine, di incomunicabilità, di incapacità di entrare in empatia con gli altri, di godere della vita e delle sue sorprese. Alla fine del film viene detto che ci sono più connessione a livello sinaptico di quante ce ne possano essere nell’universo. In fin dei conti la vita, per quanto complicato e variegato sia il suo modo di manifestarsi nella diversità, ci mostra puntualmente la cosa che tutti noi cerchiamo, e che l’universo e l’umanità intera insegue. Amore.
E’ l’amore che Amélie non trova, che le permette di avere i codici per evidenziare negli altri questa problematica e cercare di risolverla. Lei si mette da parte, e cerca di far fare agli altri tutto ciò che lei inconsciamente cerca di evitare. Fa nascere la passione tra la malata immaginaria del bar e il signore ossessionato dal tradimento, dall’abbandono. Fa vedere i particolari che il signore cieco non può vedere. Insomma, delega, preferendo guardare la realtà per conto degli altri, piuttosto che farlo per se stessa. Nel dipinto la ragazza con il bicchiere d’acqua “Forse è solo diversa dagli altri” è la metafora pittorica di Amélie: una che se ne sta fuori dal coro. Ma, in conclusione, al di là delle critiche a sfondo psicologico, questo mondo cos’è se non un intreccio infinito di possibilità, una continua messa in scena, nel bene e nel male, della soggettività di ognuno di noi? Che ci permette, in fin dei conti, di vedere parti diverse di un’unica realtà!
Frediano Augusto Mura

1 commento:

  1. Grazie di questa analisi, era proprio quello che cercavo. Questo film è uno dei miei preferiti.

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