martedì 20 novembre 2012

Intervista sulla Caritativa a Catania


Ciao Giovanni, vuoi dirci quando e come ha avuto inizio il tuo percorso con la caritativa ?
Credo di aver iniziato a 14 anni. Al liceo Spedalieri, questo gesto veniva già fatto da parecchio tempo ed un ragazzo più grande di me, Donato, non si lasciava sfuggire occasione per invitarmi. Alla fine, giusto per non sentirlo più, decisi che sarei andato una volta, avrei trovato qualche difetto ed avrei lasciato. Le cose non andarono così: mi mandarono a casa di una bambina assieme ad una ragazza che mi piaceva e questo avrebbe sicuramente allungato la mia permanenza in quel luogo. Non fosse che alla terza volta lei disse: “Bene, adesso voi 2 vi conoscete (si riferiva a me ed alla bambina alla quale facevamo doposcuola); dalla prossima volta verrai solo, un altro bambino ha bisogno di me”. Ci rimasi malissimo ma non me ne andai. Era strano vedere che qualcuno aveva bisogno del mio aiuto a dispetto dell’insignificanza che mi attribuivo, che mi aspettava ogni martedì grosso modo verso le 16,00 e scelsi di rimanere.
Quali sono le motivazioni che ti hanno spinto, durante questi anni, a perseguire con impegno l’attività del volontariato ?
Non posso darti una risposta breve, sono costretto a raccontarti di me. Quando sono entrato allo Spedalieri, non avevo idea di cosa sarebbe successo o di come sarei diventato e a dire il vero, non erano neanche problemi che mi ponevo. Tutto quello che so è che alcune persone mi vennero incontro, si dimostrarono interessate a quello che mi accadeva, se avevo problemi in una materia erano disposti a darmi una mano. Con loro mi trovavo bene. Da un certo momento in poi, le cose accaddero in fretta: quella dalla quale ero stato accolto era una compagnia cristiana e la cosa che mi stupiva era come riuscivano a guardare alle cose. Mi dicevano sempre che dovevo andare a fondo delle mie passioni e continuarono a ripetermelo anche quando iniziai ad ascoltare quel genere musicale che segnò la mia conversione: il metal (un luogo nel quale Dio non è ben visto quando non è negato). Ed era così per tutto: la fatica, i drammi, i rapporti affettivi, lo studio; volevano sempre andare a fondo di tutto per capire cosa ciò che gli stava davanti c’entrasse con la loro vita. Ad un certo punto ho provato una sorta di invidia per questo modo di vivere la vita ed ho iniziato a desiderare che questo atteggiamento diventasse mio. Poco dopo ho capito che questo era proprio quello che faceva Gesù ed ho messo meglio a fuoco cosa desideravo: volevo imparare la carità di Cristo, quello sguardo valorizzatore sulla realtà. Dopo tutto ero stato trattato così io stesso ed avevo scoperto di avere un valore che da solo non mi sarei mai attribuito. Ecco cosa mi ha permesso continuare ad andare in caritativa durante tutti questi anni: questo sguardo valorizzatore su di me. Se lo avverto presente, vado tranquillo dalla gente del quartiere altrimenti la differenza si vede.
Puoi spiegarci di cosa si occupa l’”Associazione Cappuccini” ? Come siete organizzati all’interno del quartiere ?
L’associazione cappuccini, partendo dall’esperienza della caritativa, si occupa di andare incontro alle esigenze che man mano si manifestano all’interno del quartiere, non inventa nulla. Faccio alcuni esempi: cerchiamo di limitare la dispersione scolastica indirizzando i ragazzi meno avvezzi allo studio verso corsi professionalizzanti in modo da evitare che finiscano per strada e che si ritrovino un mestiere per le mani, quando serve distribuiamo i farmaci raccolti durante la giornata nazionale del banco farmaceutico,  aiutiamo chiunque ne faccia richiesta a stendere il proprio curriculum, gli giriamo offerte di lavoro a loro idonee e li accompagniamo ai colloqui. Devo precisare che l’attività di ricerca lavoro, raramente da esiti positivi. Ma il punto non è che la gente trovi magicamente lavoro in un periodo di crisi come questo; il punto è essere loro compagnia alle loro vita e non lasciarli soli. Non è la pacca sulla spalla, è un aiuto concreto i cui risultati non sono nelle nostre mani. La gente lo capisce benissimo ed anche quando le cose vanno male ci è grata.
Quali problematiche avete riscontrato confrontandovi con le famiglie, con i bambini, con la povertà e il disagio di questa realtà?
In generale, direi che momentaneamente il problema più grande è quello del lavoro. Ciò che personalmente mi risulta difficile in alcuni momenti, è tener presente che un uomo è più del lavoro che fa (ho questa difficoltà anche su di me), il valore della persona risiede nel fatto che c’è e cioè che è stata voluta. Una grande difficoltà che riscontriamo in loro risiede nel modo di affrontare la realtà. Moltissimi vogliono trovare lavoro subito ma non hanno una qualifica o molta esperienza. Nel momento in cui proponiamo un corso che attesti una qualifica, ci rispondono che non sono interessati e che preferiscono lavorare subito. Non collegano il corso con l’incremento della possibilità di trovare lavoro. E’ lo stesso coi bambini che non capiscono l’importanza dello studio. In alcuni momenti sono tentato di lasciare le cose nella condizione in cui si trovano ma poi faccio memoria e ricordo che anche io sono come loro: in alcune circostanze faccio i capricci e punto i piedi  e l’unica cosa che mi salva è la compagnia che i miei amici mi fanno, il fatto che non vengo mollato mai per un istante.
Durante le giornate del banco alimentare Onlus avrete avuto certamente riscontri imprevisti da parte delle persone: in questo periodo di grande crisi, le persone hanno dato un contributo per questa causa? Ti sono sembrate toccate, coinvolte, sensibilizzate, dalla problematica che gli avete posto dinanzi gli occhi ?
Nel supermercato nel quale ho prestato servizio io, la quantità di cibo raccolta ha superata non di poco quella dell’anno precedente. Voglio raccontarti alcuni momenti. Ad un certo punto una coppia di coniugi si presenta da noi con un carrello pieno zeppo di roba. Qualcuno di noi li insegue per ringraziare e chiedere come mai tanta generosità. Si sono dimostrati molto schivi, hanno solo detto: “Dio benedica quest’opera” e se ne sono andati.
L’obiezione che pone molta gente è del tipo “Si, come se il cibo che vi consegnano poi finisca veramente nelle case dei poveri!” però molti cedono quando gli viene detto che le persone alle quali consegnano la spesa sono le stesse che poi distribuiscono il cibo nel quartiere dei cappuccini. Invitiamo sempre questa gente a venire e vedere.
Portiamo sempre i bambini del quartiere con noi durante questa giornata e sono uno spettacolo, la gente si scioglie quando a chiedere sono loro.
Da parte delle istituzioni vi è un interesse concreto verso queste problematiche ? Hanno dimostrato attenzione alle vostre richieste ?
Quello che permette ad un’organizzazione come l’Associazione Cappuccini di andare avanti è una fitta rete di rapporti d’amicizia un po’ in tutti i settori: abbiamo medici che ci aiutano, avvocati che gratuitamente danno il loro tempo per consulenze, assistenti sociali con i quali ci rapportiamo in continuazione per operare al meglio. Non vorrei sembrare presuntuoso, ma ho la netta impressione che siamo più noi ad aiutare le istituzioni che non il contrario.
Sappiamo che vi impegnate in attività ricreative per i bambini , e che soprattutto siete concentrati nell’attività del doposcuola . Che risposta state avendo da parte della collettività ?
Siamo freschi di pagelle dei nostri pupilli. In ciascun caso il nostro aiuto è determinante. Dove i bambini vanno gradualmente meglio, è facile da constatare. Dove vanno male (parlo per esperienza) andrebbero peggio o addirittura non andrebbero. Ciò a cui faccio caso è che il rapporto con le persone da cui andiamo a fare caritativa è ambivalente: le domande che si pongono loro sono anche le nostre domande: che senso ha studiare? che me ne faccio della geografia o della geometria? Non possiamo pensare di rispondere che bisogna studiare per costruirsi un futuro, anzitutto perché se non stiamo bene adesso non ci importa neanche del futuro e poi perché è una risposta che non convincerebbe nemmeno noi stessi. O lo studio c’entra ora con la vita oppure non ha senso uscire pazzi davanti al teorema di Euclide o alle divisione a due cifre (la mia bestia nera..). Quando riusciamo a far vivere loro lo studio così, studiano contenti e tornati a casa studiamo più contenti anche noi.
Puoi parlarci di qualche iniziativa che secondo te ha lasciato davvero un segno profondo in questa comunità ?
Non è la singola iniziativa che lascia il segno; sono dei gesti continuati nel tempo e la condivisione dei problemi che cambiano la gente. Ogni evento è potenzialmente un’occasione dell’altro mondo. Dal fare studiare il bambino, alla festa di carnevale, passando per il concerto in piazza. Tutto dipende da quanto uno è disposto a mettersi in gioco e ad essere protagonista. La gente è cambiata da quello che cambia noi: un permanere nella realtà con la coscienza che tutto è dato e tutto è Grazia.
In un periodo storico come questo gli italiani sembrano avere perso le coordinate, inghiottiti da una crisi che non lascerebbe nemmeno un barlume di speranza . Sembra davvero difficile trovare in giro un’iniziativa umana simbolo di gratuità, rivolto ai bisogni più indispensabili e irrinunciabili della persona. Per via dell’individualismo, della competizione per la fama ed il potere economico. Una tecnocrazia arida di risposte , ma soprattutto demolitrice di domande esistenziali. E’ azzardato dire che la vostra iniziativa rappresenta una vera e concreta risposta al nichilismo e all’individualismo ormai imperante ?
Non solo non lo trovo azzardo ma credo anche che sia un ottima descrizione del gesto che faccio una volta la settimana da più di dieci anni. Ogni martedì devo lasciare la scrivania del mio ufficio per portare gli aiuti del banco alimentare e per far studiare un bambino. Lo so che sembra paradossale ma vivere per gli altri mi aiuta a vivere di più e meglio per me stesso. Ho fatto l’esempio dello studio, ho descritto come guardare la gente del quartiere mi faccia rendere conto del fatto che io sono né più né meno come loro e mi aiuti a correggere il tiro sulle mie cose e poteri raccontare altro. Parlavo con un amico del fatto che faccio caritativa perché serve anzitutto a me e lui, scherzando, mi diceva che era strano vedere questa sorta di egoismi in un gesto di volontariato. Io credo che questo “egoismo” sia una delle ragioni per le quali difficilmente vengo meno a questo gesto.
Quale contributo è possibile dare in vostro aiuto ? Che suggerimenti senti di volere dare a chi magari è titubante nell’intraprendere questo percorso ?
Ci occupiamo di una cosa come 120 famiglie, cerchiamo sempre aiuto. Ciascuno dia quello che può: servono altri volontari per il doposcuola, per portare le buste, servono soldi per cose come visite specialistiche a pagamento. Fare un gesto come quello della caritativa significa capire di più chi siamo, di cosa siamo fatti e per cosa siamo fatti. Permettimi di citarti un pezzo dell’enciclica di Papa Benedetto XVI “Deus Caritas Est”: << Questo giusto modo di servire rende l’operatore umile. Egli non assume una posizione di superiorità di fronte all’altro, per quanto misera possa essere sul momento la sua situazione. Cristo ha preso l’ultimo posto nel mondo — la croce — e proprio con questa umiltà radicale ci ha redenti e costantemente ci aiuta. Chi è in condizione di aiutare riconosce che proprio in questo modo viene aiutato anche lui; non è suo merito né titolo di vanto il fatto di poter aiutare. Questo compito è grazia. Quanto più uno s’adopera per gli altri, tanto più capirà e farà sua la parola di Cristo: « Siamo servi inutili » (Lc 17, 10). Egli riconosce infatti di agire non in base ad una superiorità o maggior efficienza personale, ma perché il Signore gliene fa dono. A volte l’eccesso del bisogno e i limiti del proprio operare potranno esporlo alla tentazione dello scoraggiamento. Ma proprio allora gli sarà d’aiuto il sapere che, in definitiva, egli non è che uno strumento nelle mani del Signore; si libererà così dalla presunzione di dover realizzare, in prima persona e da solo, il necessario miglioramento del mondo. In umiltà farà quello che gli è possibile fare e in umiltà affiderà il resto al Signore. È Dio che governa il mondo, non noi. Noi gli prestiamo il nostro servizio solo per quello che possiamo e finché Egli ce ne dà la forza. Fare, però, quanto ci è possibile con la forza di cui disponiamo, questo è il compito che mantiene il buon servo di Gesù Cristo sempre in movimento: « L’amore del Cristo ci spinge » (2 Cor 5, 14).>>
Natale Anastasi

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