martedì 20 novembre 2012

L’incapacità di associazione tra l’evento-danno per l’animale/ambiente e il prodotto di utilizzo quotidiano


Cos'hanno in comune una mucca e le mie scarpe adidas? “Niente” sarebbe la risposta più ovvia da pensare.. Eppure esse sono, con un inevitabile 100% di probabilità, due facce della stessa triste medaglia. La mancata capacità di associare agli oggetti di vita quotidiana problemi reali che (lo vogliamo o no) ci riguardano tutti è alla base dell’aggettivo “triste”.

Ben sappiamo, infatti, come la mente umana, nella sua porzione cognitiva, funzioni tramite associazioni. Siamo abituati fin da piccoli ad associare un nome alle cose, una funzione agli oggetti, un significato alle parole. Eppure spesso non basta.
Portiamo l’esempio di un’artista olandese, Katinka Simonse, la quale aveva sollevato la questione già qualche anno fa con metodi discutibilissimi, ma con l’intento di centrare pienamente il problema. Ebbene, costei fece del suo gatto domestico… una borsetta!
La cosa ovviamente ha suscitato polemiche a valanghe, intasando la mail della ragazza con messaggi carichi d’odio che superavano già il milione dopo pochi anni.  Migliaia di persone (senza contare i commenti sui vari blog, forum, e social network) hanno trovato il tempo di scrivere a questa donna per esprimere il loro disprezzo e disgusto. Ma è chiaro che, associando il pensiero del proprio animale domestico ridotto a borsetta, chiunque, sano di mente, inorridisce. Chiunque. Perché l’abbiamo cresciuto, accudito: perché “è naturale” che non sia così.
E perché provare orrore per quella borsetta e non per il giubbotto con inserto in pelliccia che d’inverno a migliaia sfoderano orgogliosi? Cosa cambia tra quel gatto e quell’animale da pelliccia? Un’amante degli animali risponderebbe con sicurezza e veemenza: “niente!”. Ma persino qui si cade nell’errore di mancata corretta associazione. Cosa cambia tra un gatto domestico olandese e una volpe da pelliccia nel giubbotto? Tanto.  Perché non solo sono tutti e due esseri viventi ( primo e spesso ultimo punto di analisi che ci facciamo in mente) ma il secondo nel 99% dei casi è  stato allevato in Cina o India per scopi industriali.
In questi ed altri paesi orientali non esistono leggi a tutela dei diritti degli animali. In nessun caso. Qui animali come il Tanuki (Nyctereutes procyonoides), ma anche cani e gatti, vengono allevati in condizioni che nemmeno lontanamente possono essere considerati “vita” prima di morire (qui la differenza con “il gatto di ..“  ). Serve solo la pelliccia, non altro. Non c’è motivo di assicurarsi che vivano bene, figuriamoci per assicurarsi che muoiano bene! Infatti sovente dopo lo scuoiamento sono ancora vivi. Non c’è bisogno di descrivere la “procedura”, la  si può ben vedere sul web  .
Persino nei capi “made in Italy” , e quindi assemblati in Italia, le materie prime vengono comunque acquistate in Cina e paesi limitrofi. Non credo che ci sia un qualsiasi modo per giustificare le pellicce: esse fanno schifo e basta.
E, d’altronde, se del tanuki ci facciamo un cappotto, della mucca ci facciamo praticamente tutto il resto.
L’orribile qualità della vita che viene imposta a questi animali è, nella maggior parte del mondo, la norma. Dove non ci sono leggi (né politiche né etiche) sulla loro tutela, una mucca non più “utile”, che è stata ingravidata artificialmente decine di volte per produrne latte e vitellini, aspetta che qualcuno le tagli la gola, vedendo dimenarsi a terra quella che in fila l’ha sfortunatamente preceduta.
Altrove, in India, dove non si possono uccidere questi animali per motivi religiosi, si applica un “trucchetto”: niente cibo né acqua, marce kilometriche e bastonate finché non collassa di stenti. Poi via la pelle ed ecco TUTTI  i giubbotti, scarpe, cinture, portafogli in pelle “made in China” o “made in India” (ma anche Thailandia, Corea etc). Sotto questo profilo, le mie Adidas diventano improvvisamente ingiustificabili.
E quindi la Cina è il nemico? No, perché in Europa e in America i numeri del bestiame destinato all’industria sono verticalmente più alti e loro condizioni esistenziali non sono di certo migliori ! I maltrattamenti sono all’ordine del giorno anche qui. Tanto negli allevamenti quanto nei macelli. Pensate d’altronde che chi lavora con i cadaveri  8 ore al giorno, sia il tipo di persona che si commuove di fronte alla scena della morte della mamma cerbiatto in  “Bambi”?
A proposito di macelli un documentario (tra i tanti) che vi segnalo lo trovate digitando “carne da macello 1/2”  su youtube  . Qui, esaurientemente e velocemente,  viene illustrato lo “standard europeo” di cosa accade nei macelli a maiali, bovini, pecore e pollame.
Di contro, il  “consumo consapevole” di carne, oltre ad essere valutato dal punto di vista etico, lo si deve valutare anche da quello ambientale. Per produrre 1 kg di carne bovina servono da 10 a 15 kg di mangime e 100.000 litri d’acqua per la coltivazione del foraggio per uso animale, per l’abbeveraggio e la pulizia. Il 65% delle coltivazioni dell’intero pianeta è devoluto al nutrimento di animali da allevamento. Causando disboscamenti, inquinamento e, non ultima, la famosa “fame nel mondo”. La carne affama. “Ok, niente più carne, solo pesce!” sarebbe adesso il pensiero più immediato. Ma ne abbiamo da dire anche su quello. Sappiamo che, a causa dell’inquinamento e della pesca intensiva, il pesce sta finendo, ma i frigo sono sempre pieni al supermercato. Appunto. Quindi nemmeno più pesce? No, ma bisogna anche qui consumare consapevolmente. C’è pesca e pesca. Sul sito di greenpeace  troverete risposte su quanto costa al mare un classico panino al tonno, e una classifica delle marche più famose, e qui troverete le marche che praticano pesca ecocompatibile. Un’ anteprima? Con la “Rio mare” state sicuri che, ogni centinaio di scatolette, un delfino “bonus” vi viene tirato su dalle reti a strascico mentre vomita sangue, e viene rigettato in mare morto qualche minuto dopo.
Infine vi segnalo chi affronta il problema del consumo consapevole suggerendovi di cercare sempre sul caro vecchio tubo i discorsi di Gary Yourofsky di cui cito alcune parole:
se non sei tu la vittima, non analizzare la situazione dal tuo punto di vista, perché quando tu non sei la vittima diventa molto facile razionalizzare e giustificare la crudeltà”.
E io? Io ho deciso di boicottare a vita tutti i prodotti di origine animale che la produzione industriale offre (cosmetici compresi). Mi rimangono solo un po’ di pesce pescato al largo di Acitrezza, le uova del pollaio di qualche amico di famiglia e…le mie vecchie Adidas, finché non si consumano. Intanto “comincio” da qui.  Voi?

Roberto Marano

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