martedì 20 novembre 2012

Stare a scuola è stare nel Mondo



“Mai come oggi si parla così tanto dei giovani e si parla così poco con i giovani”.
Alessandro D’Avenia
La scuola rappresenta un’esperienza, oserei dire, piuttosto ambigua tra i giovani. Difficilmente agli studenti brillano gli occhi quando si parla di compiti, di professori, di interrogazioni o di compiti in classe, figuriamoci poi quando si avvicinano gli esami di maturità. Anzi, in questa occasione, si parla proprio di “senso di liberazione”, come se dopo una prigionia di cinque anni finalmente si venisse rilasciati, liberi, pronti a dimenticare quanto accaduto finora in questi anni di detenzione. Il diploma è il foglio di via che scioglie le catene, che permette la fuga da questa “Alcatraz” attraverso l’ultimo sforzo, raccogliendo le ultime energie per affrontare al meglio la prova di maturità. Ma, mi chiedo ingenuamente, davvero la scuola è una prigione? E se lo è, perché? Chi sono i secondini?
Ovviamente lo stress che deriva dallo studio quotidiano, dalle interrogazioni, dalle tante materie non basta a far sì che la scuola venga consi-derata così dagli studenti, c’è altro: ci troviamo di fronte ad un odio vero e proprio non tanto nei confronti di ciò che si studia, ma in quelli di chi insegna. La figura dell’insegnante è in crisi, stiamo assistendo all’involuzione da educatori ad enciclopedie ambulanti, distributori di nozioni che fomentano il disinteresse per la realtà tra gli studenti e il risultato è l’alienazione, un distacco non solo dallo studio, ma dalla vita scolastica in generale. Una vita i cui cardini sono la conoscenza, le relazioni, gli incontri, la comunicazione, in una parola, la cultura.
Provate ad immaginare i vostri trascorsi a scuola. Cosa pensavate dei vostri professori? Niente di buono credo, tranne qualche eccezione. Ora, tutto questo sembra normale a primo acchito, forse perchè siamo abituati a considerare la scuola come qualcosa di superficiale precludendoci così la possibilità di indagare, di addentrarci nella questione, fare il punto della situazione su una struttura che non deve solo informare ma anche formare. Perché di questo si tratta. La formazione dei giovani e delle loro coscienze avviene per via di un percorso di vita che ha come fondamento la partecipazione alla vita stessa, alla vita del Mondo. Il menefreghismo e la rassegnazione sono i frutti di un rifiuto a vivere autenticamente causato dai “modi pedagogici” degli ultimi tempi che hanno alla loro base la frustrazione e la poca voglia di educare da parte della stragrande maggioranza di chi insegna per lavorare, invece di insegnare per ispirazione. L’insegnamento non dovrebbe essere l’ultima spiaggia per un neolaureato, bensì qualcosa di più: una vocazione. Se parlo in questi termini, lo faccio perché ho avuto l’opportunità di conoscere, attraverso il web, un professore innamorato del suo mestiere e della vita: Alessandro D’Avenia.
D’Avenia insegna in un liceo classico di Milano, ha da poco compiuto trentaquattro anni e oltre a svolgere il suo lavoro è anche uno scrittore e uno sceneggiatore, infatti ha pubblicato un libro “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, edito da Mondadori.
Ma cosa rende speciale questa persona? Qual è il motivo che mi spinge a parlare di lui? Ecco la risposta: è felice. Quest’uomo ha trovato la felicità grazie ai giovani, agli studenti ai quali insegna italiano e latino ogni mattina, ma soprattutto alle ore che trascorre con loro a chiacchierare, a confrontarsi a parlare di tutto ciò che riguarda la loro vita e il mondo in cui vivono. D’Avenia è riuscito a trasmettere a tantissimi giovani che lo seguono a scuola, alle conferenze o su internet la bellezza della realtà che ha trovato pro-prio grazie all’esperienze che il suo lavoro gli permette di fare.
I ragazzi che lo seguono sono migliaia, sparsi in tutta Italia e davvero tanti sono anche i genitori che lo contattano. Il suo blog, Prof 2.0, è tempestato di messaggi e molte sono le visualizzazioni dei video che lo vedono mentre spiega in classe o dibatte in qualche conferenza alla quale partecipa come ospite d’onore. Un esempio insomma di educatore nel senso più bello del termine che ha trovato il modo di comunicare con le giovani generazioni. Come? Semplice-mente parlando con loro. Gli adolescenti che si aprono con lui non mostrano nessuna paura a farlo. Si confidano, raccontano i problemi che sono costretti ad affrontare ogni giorno e chiedono aiuto, chiedono di essere ascoltati e lui, Alessandro, risponde, scrive, comunica. Se date un’occhiata al blog che vi ho indicato sopra potrete notare come sia ricco di video, commenti, citazioni tutto a portata di tutti, come una piazza nella quale si discute con sincerità e serenità, nessuno escluso e tutti invitati. Sta qui tutta la bellezza del Mondo di cui parla Alessandro D’Avenia, sta qui la sua felicità.
La scuola deve innanzitutto offrire agli studenti la possibilità di esprimere se stessi in tutto e per tutto a prescindere dal sapere che si può apprendere, non deve mancare il tempo per il confronto perché è inaccettabile che si esca da scuola, una volta diplomati, preparati su tutto tranne che su noi stessi. Non serve a niente conoscere le nozioni sia esse di matematica o di filosofia e non riconoscere la realtà in cui viviamo ogni giorno. Non possiamo trascurare il Mondo. Siamo in un momento storico in cui i problemi sono tanti e le soluzioni poche e di certo scoraggiare a priori le nuove generazioni facendole chiudere a riccio non aiuta, anzi genera un clima di terrore e odio che si ripercuote non solo ne gli atteggiamenti tenuti a scuola (bullismo), ma anche fuori dalla scuola stessa.
Un’eredità che le nuove generazioni si porteranno dietro dopo il diploma, giungendo così all’università o al lavoro con una disillusione tale da rendere la loro vita ancora più dura. È necessario recuperare l’importanza della comunicazione, di ciò che ci rende uomini, e la scuola è il luogo adatto in tal senso, prendendo come esempio gente tipo Alessandro D’Avenia e la sua passione per la vita, per il Mondo, per gli uomini. Riprendiamo a parlare e ad ascoltare in classe, tra i banchi, smettiamola di imparare forzatamente per conquistare il voto più alto o per compiacere i genitori. Torniamo a scuola per imparare il nostro senso della vita, non quello più giusto o sbagliato,
ma il nostro. È più importante conoscere una minima parte di se stessi piuttosto che un’ intera pagina di storia.
Attilio Occhipinti

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