martedì 20 novembre 2012

La pioggia di settembre




Che dire al passante incimurrito
avvolto nel suo cappotto opaco
fra pensieri misteriosi sconosciuto
al mondo ed a se stesso e con in cuore
il fascino peccaminoso del silenzio?
Che dire al vecchio incrinato
sulla panchina solo a raccontarsi
addosso la stessa malinconia
con fra le mani gli stracci casuali
della vita e preghiere consunte
da regalare al prossimo compleanno?
Che dire ad un uomo bambino
prigioniero della sua auto immobile
nel traffico di luci cangianti
della notte, in bocca tra i denti
il dolore mai saputo d’un passato
sfibrato nei richiami della memoria?
Che dire al ragazzo arruffato
che nasconde il suo volto bagnato
dal pianto, nell’incavo del braccio,
masticando stento il suo amore
perduto nella pioggia di settembre?
Che dire alla fanciulla fuggitiva
tra le linee confuse del tramonto
che racchiude fra i piccoli seni docile
il significato profondo dell’intenso
suo sguardo ingenuo e del sesso
e del corporeo illudersi vivendo?
Che dire alla donna pensierosa
per la strada umida, contro la notte,
che umiliata e sconfitta da un uomo
troppo debole per essere se stesso,
ma mai vinta, mai caduta, libera,
ha vissuto sospesa sul limite concesso?
Che dire alla povera zingara curva
che all’alba va fra la gente del mondo,
con occhiaie scolpite nel viso ingrigito
e smunto, parole d’amore troppo sincere
per essere pronunciate ad alta voce
e nel petto scheletrico il senso
ultimo del suo andare: il vuoto?
Che dire a quel viandante cieco
che adesso conduce amaramente
le sue quattr’ossa a un argine
concreto di discrepanze inutili;
nel suo respiro l’inquieto sentire
della propria inconsistenza e un’eco
sperduta tra le increspature
d’un buio abisso che ci stringe?
Mi resta soltanto la parola muta
che saprà raccontare un giorno
questa nostra infelicità,
la parola antieloquente testimone
della nostra insincerità.

Giulio Foderà
4/3/2012

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