martedì 20 novembre 2012

Libertà e licenza: due mondi d’appartenenza



La libertà. Essenza ed efficacia. Vincolo e limite obnubilante di contraddizioni semantiche. La libertà non appare essere un orizzonte illimitato, svela bensì un concetto limite, apparentemente astratto ed estremamente fragile da porsi. Senza troppi preamboli, a causa di tale limite, si manca della domanda fondamentale sul senso della libertà. Essa tira in ballo la dialettica dell’Io col suo fine ultimo: la felicità.
Un’ aporia, un arcano che ha sconvolto ogni cultura. In età arcaica, appunto, i Greci credevano nella reincarnazione , nel destino, nella Necessità (Avankn) : il tempo ciclico è la loro quadratura dell’essere, un eterno ritorno e divenire da ciò che è a ciò che fu.
Dove quindi risiede la libertà se non nell’accettazione del proprio ruolo all’interno del cosmo, di un ordine prestabilito? Obbedire agli dèi il sommo motto di quel tempo apparentemente così lontano, la tracotanza (ὕβρις) sempre alle porte.
Ma cosa intendere con “libertà “, in quest’ottica, se non la negazione della stessa? Il cristianesimo delle origini, di contro, tramite la figura di Gesù di Nazareth, ci ha dimostrato che è possibile usufruire del libero arbitrio, con lo scopo di sovvertire, ribellarsi, scuotere letteralmente i templi del potere precostituito, se in noi stessi vi è la forza necessaria per aggregarci al fine di compiere tale impresa.
Ma da dove poter cogliere tale consapevolezza psichica e tale ardimento morale ? L’esercizio della libertà è la base da cui partire. Quando, però, è possibile affermare di essere letteralmente “liberi” ? Varie le posizioni in merito: è l’assenza di condizionamenti esterni, oppure di vincoli interni ? O entrambe, forse? Duemila anni di storia occidentale ci hanno reso protagonisti di “qualcosa” di più profondo.
E’ davvero stata applicata la libertà nelle rivoluzioni ? La rivoluzione francese, ad esempio, il sessantotto, gli anni della contestazione, delle lotte studentesche, delle grandi ideologie, sono espressione di libertà o di licenza ? Chiariamoci : la libertà non è la possibilità di fare tutto ciò che si vuole senza tenere conto degli altri; diversamente, si definisce come licenza questo atteggiamento di noncuranza del benessere collettivo, della comunità.
Il ventunesimo secolo in realtà ha forse estirpato la gerontocrazia plutocratica ? I sistemi totalitari sono ancora presenti, le “democrazie fantoccio” costringono alla clandestinità e all’emarginazione le voci del dissenso, della “diversità” di condizione. La rivoluzione col ferro e col sangue ha cambiato forse qualcosa ? E , nel frattempo, ci viene negato ogni giorno il diritto al pluralismo, alla possibilità di dire la nostra nella realtà, senza omologarsi al sistema di pensiero indotto dal “potere” . La Costituzione, inoltre, viene ogni giorno infangata da chi ha fatto della propria carica istituzionale una chance per accumulare potere, spasmodicamente, all’infinito.
“L’obeso è l’infinito di un Leopardi americano” avrebbe detto Giorgio Gaber .
Chi controlla difatti i controllori ?
La risposta più logica dovrebbe essere “il popolo”, che detiene (?) la sovranità come sanci-to dalla nostra Costituzione. Utilizziamo però il condizionale, perché la sovranità non la si esercita più da molto tempo, se mai nella sua inte-rezza sia stata mai attuata. Superiamo la dogmatica a cui siamo sottoposti da questa “bassa” politica. Siamo sotto regime, sotto il governo della casta. Non si può descrivere e decifrare altrimenti la nostra condizione attuale; ignoriamo il teatro delle finzioni propinateci dai mass-media mondiali. Ignoriamo coloro che parlano di politica italiana senza connetterla al sistema mondiale a cui fa essa riferimento. Non meravigliamoci di sapere che il “nostro” governo tecnico non abbia mostrato davvero intenzione, almeno sinora, di attuare delle riforme real-mente democratiche, di giustizia sociale, perché esso dipende strettamente dai poteri forti delle Banche mondiali, dagli obblighi imposti dall’U.E. e diktat dei partiti di maggioranza che ne garantisce la sopravvivenza solo a patto di non contrastare i loro interessi e di farli arrivare a fine mandato (vd. la questione dei vitalizi, degli stipendi parlamentari, della patrimoniale, ecc.). E come può essere possibile, d’altronde, attuare un piano di ricrescita, superando la recessione, se vengono aumentate scriteriatamente le tasse sulla povera gente? Quale sarebbe la logica per il sacrificio che ci viene richiesto se poi il lavoratore dipendente e autonomo partecipa al prelievo fiscale nella misura dell’80%, mentre i più ricchi, a cui appartiene la maggior parte del prodotto nazionale, vi partecipano solo nel 20 %? Vi è insomma una redistribuzione della ric-chezza nelle mani dell’alta finanza, attraverso la speculazione sui prezzi, che ha già generato le radici del nuovo capitalismo.
All’aumentare del Capitale – che cresce dal 15 % al 25 % – la crescita del Pil non va oltre il misero 3 % . Il sistema finanziario ricava dunque, tramite la produzione di danaro cartaceo, un reddito più elevato di quello derivante dalla produzione di denaro tramite merci. Se poi aggiungiamo che la tassazione sui capitali rientrati è solo del 1,5 % , assistiamo ad una clamorosa, ed ingiusta, manovra. E’ chiaro che la riforma causerà solo un calo della crescita e un aumento della disoccupazione. Inoltre la strategia di privatizzare le prestazioni statali acuisce il clima di latrocinio a cui stiamo incorrendo. Per non parlare dei 18 miliardi di euro stanziati per acquisire 131 caccia bombardieri. Ma per superare questa forte confusione su tali argomentazioni occorre riflettere sui ruoli di Mario Monti e di Mario Draghi: entrambi appartengono alla Goldman Sachs, il primo in qualità di International Advisor, oltre ad essere presidente europeo della Trilateral, l’altro come Vicepresidente per l’Europa. E sappiamo bene come la Goldman Sachs sia una delle principali responsabili della crisi che stiamo subendo. Essa fu salvata solo grazie all’aiuto offertogli da Obama ( furono impiegati ben 7,5 miliardi di dollari per salvarla dalla bancarotta) . Se poi aggiungiamo che i suddetti Monti e Draghi ricoprono un ruolo fondamentale anche nella lobby del Gruppo Bildenberg, il quadro è presto chiaro. La nostra cara Italia è , purtroppo, legata, sin dal secondo dopoguerra, a doppio filo con gli U.S.A. .
Se analizziamo, infatti, la politica in-ternazionale degli ultimi decenni vedremo la grossa mano e il lungo sguardo del potere d’oltremare. L’intervento della C.I.A. negli anni della contestazione, come spiega Pasolini nei suoi Scritti Corsari, fu ingente per sedare le proteste e per minare dall’interno le contesta-zioni, con lo scopo di ristabilire i movimenti neonazisti e neofascisti. Anche la protesta pacifica degli indignados del 15 ottobre fu macchiata e strumentalizzata dalle infiltrazioni di forze sovversive di tal fatta. La mancanza di un pronto intervento della polizia e la mancan-za del servizio d’ordine furono i simboli di questa chiara volontà. Si è pensato a farli mischiare con la folla, per poi , nel caos, intervenire.
“ L’ “operazione Monti’, ad ogni modo, è stata molto raffinata. Il professore, infatti, ha tutte le caratteristiche per essere parte integrante dell’establishment europeo e non solo uno dei suoi bracci. È uno degli “ottimati” che hanno preso in mano il governo dell’Europa secondo uno schema molto semplice: o la nostra politica o il caos”. (F. Bertinotti)
Risulta molto difficile pensare che le istituzioni non fossero state a conoscenza dei preparativi che si stavano orchestrando tramite i blog su internet. In breve: si sarebbe potuta sventare la rivolta. Ma ciò non si è voluto. Ricordiamo il “consiglio” di Cossiga al l’ex ministro dell’ Interno: “Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interno….Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti pro-vocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devasti-no i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri.”
Tornando però al discorso principale: questo legame tra U.S.A. e Europa ha favorito la nascita di grandi potentati sovranazionali ampliatisi nei decenni successivi sottoforma di legami commerciali (quali C.E.C.A., C.E.E., EURATOM e dunque B.C.E. ) , politici (U.E.), e di legami militari (N.A.T.O.). E sono proprio infatti proprio questi legami a stabilire le politiche degli stati membri. La politica nazionale è dunque un riflesso delle decisioni prese attraverso i sommovimenti borsistici del mercato.
E’ questo il risultato dell’eccessiva politica di liberismo che è stata attuata. Aggiungiamo, inoltre, che la crisi ha favorito l’aumento della domanda e dell’offerta, ma a seguito dell’impoverimento degli stati, e dell’incremento del debito pubblico, si è favorita ancor di più la criminalità organizzata: la mafia, infatti, sfrutta come un paras-sita questa situazione di debolezza estrema e dispone, rispetto alle banche nazionali, di una grossa liquidità di danaro, impiegabile per sottomettere e corrompere chiunque.
E‟ la guerra del XXI secolo, come sostiene saggiamente Andrea Camilleri, una guerra economica che non si combatte con le bombe, ma che ne ottiene gli stessi risulta-ti: distruggere l’economia di un paese.
Ed esistono appunto progetti, già attuati, ben oltre ogni fervida immaginazione: il New World Order e la globalizzazione sono la nostra realtà . La massoneria, le banche come loro emanazione, i progetti top secret come loro braccia armate (vd. Il progetto di condizionamento climatico – e non solo – denominato con la sigla H.A.A.R.P) , il “Trattato di Lisbona”, la propaganda pro-guerra attuata da decenni per favorire le industrie produttrici di armi, e per l’acquisizione del petrolio.
La stessa crisi che stiamo vivendo adesso potrebbe anche essere stata voluta per far calare il valore dell’euro al di sotto del dollaro, per schiavizzare ancor di più la politica e l’Europa sotto la mano delle logge massoniche americane. Un gioco di monete che punterebbe a far accumulare ancor più potere al petrodollaro, l’arma più vincente delle banche Americane dalla crisi del ’29 ad oggi. Ed è proprio il controllo del petrolio il motivo dell’intervento militare in Libia: non ci furono, sembra, bombardamenti sui civili, e l’ordine di uccidere Gheddafi fu preso dalle potenze straniere, come affermano gli am-bienti sovversivi libici, che eseguirono l’ordine. Inoltre, lo spionaggio internazionale poi ha allargato la sua visuale tramite internet e i social network .
La C.I.A. tiene stretti contatti con facebook: ogni nostra notizia, immagine di profilo, dato, amicizia e condivisione privata è tenu-ta sotto fermo controllo da questi organismi di potere. Diffidate da questa apparente “gratuità”, perché siamo tutti schedati! Il controllo è ovunque, e non si tratta di paranoia.
Allora cosa dire? È forse finita la nostra dissertazione sulla libertà perché il sistema, la società, i burattinai (americani su tutti) ci controllano costante-mente ? Non è di nostra intenzione cavalcare l’onda dell’ antipolitica: cerchiamo di superare la concezione ideologica che ottenebra l’essenza della politica odierna.
Cos’ è dunque la politica? Siamo noi !
Ma il determinismo è così schiacciante tanto da sembrare di poter obliare ogni possibilità di intervento. Ci si condanna a vicenda per un’idea, per una posizione partitica e il mondo cade ogni giorno, sempre più, in rovina. L’incoerenza appare oggi una normalità. Ma il determinismo, l’accettazione genuflessa della nostra posizione, senza avere il minimo sussulto, appare sin troppo ridicola .
Noi siamo artefici del nostro destino e la libertà va al di là di un controllo sociale, perché essa resta sempre ineffabile per qualsiasi tipo di ordine istituzionale. Proprio per questo abbiamo ancora molto da dire per il nostro presente: la nostra arma più letale è l’esercizio della nostra individualità – e non come avvenuto adesso del nostro individualismo, ossia il pensare per sé .
Cerchiamo di comprendere il peso e l’autentico significato del sommo motto evangelico: “Date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio“ Mc.12,17 Ma, per far ciò, per perseguire il nostro obiettivo, dobbiamo parlare d’identità all’interno della comunità . Ecco, poniamo una distinzione fra questi due termini: “società” e “comunità”.
..sulla comunità : uno sguardo oltre la crisi

La crisi non ci ha resi aridi, ma ha reso visibile l’aridità che c’era già. Il fattore umano sarà decisivo. Per tale ragione, la comunità a cui ci rifacciamo, come già accennato sopra, è quella delle origini del cristianesimo, e non solo: pensiamo a quello Spirito che legava fra loro la povera gente, gli oppressi. Essi trovavano forza incoraggiandosi a vicenda, dialogando fra loro, e avendo davvero a cuore i bisogni di chi gli stava attorno. Il senso della comunità è come una famiglia allargata, che , pur mantenendo ognuna delle sue particolarità e differenze, le unifica, basandosi sulle esigenze comuni e sui diritti di ogni persona. Bisogna prendere ad esem-pio chi ha fatto della gratuità e del dono il proprio modus vivendi .
Teniamo conto che una “diversità” è tale solo fino a che noi anteponiamo il giudizio su di essa senza conoscerla: dopo averla accettata la riconosceremo come “simile” e molto vicina a noi. La nostra condizione è la nostra forza, la nostra possibilità d’interpretare, tramite l’esperienza, i nostri bisogni e di confrontarli fra noi. La nostra condizione ci mette in relazione con il Mondo. Parliamo in breve della tutela del prossimo: della disabilità, dei ceti meno agiati, di chi ha un orientamento (sessuale, religioso, culturale, politico ) differente dal nostro, di chi è più giovane e più anziano di noi, degli immigrati, delle etnie differenti, dei precari, dei disoccupati, dei senza tetto, dei tossico-dipendenti, ecc.. . Di tutti, non solo dei nostri “apparenti” simili. La comunità è quin-di, semplicemente, tolleranza, rispetto, e amore. Il nostro aiuto è la denuncia e l’intervento che possiamo dare a chi ne ha bisogno.
La società si è, invece, generata dall’alienazione dell’individuo, dal meccani-smo di delega, dalle alleanze partitiche. Si è creato un dualismo tra l’identità di gruppo e quella della persona, senza rendere plausibile altro che il reciproco tornaconto. Dalla prima rivoluzione industriale, dallo svuotarsi delle campagne, dal fenomeno di urbanizzazione, abbiamo assistito al cambiamento del ruolo della persona: essa ha un valore, dato dalla classe e dal ceto di appartenenza.
La persona è merce e forza lavoro, il resto non interessa e finisce sotto il termine di “sovrastruttura ideologica”. E’ dunque necessario abbattere sia la concezione del valore, sia l’utilitarismo, l’egoismo, per riproporre il senso civico di “ciò che è in comu-ne e di ciò che è possibile condividere”. Così da non dover più sentir parlare d’impegno sociale come una stranezza, una passione, ma di un comportamento naturale. Usciamo dal vincolo del soggettivismo, dal ridurre tutto il Mondo ad un’immagine che abbiamo stereotipata di esso. Perché la faccenda riguarda in primis noi e il nostro modo di rapportarci al Mondo : la nostra sfera, il nostro Io, è distaccato dal reale, dalla nostra realtà? Qual è l’interesse verso ciò che ci circonda ? Per quale motivo decidiamo di vivere piuttosto che morire ? Ingozzarsi d’informazioni senza poi con-vertire in pratica le ragioni del proprio dissenso è l’allarme più eclatante dell’inautenticità delle nostre posizioni. Ovviamente, qui non si distrugge tutto e non si celebra il fallimento di ogni iniziativa sociale, ma al momento sono realtà , purtroppo, di minoranza. La crisi economica richiede, dunque, una nostra partecipa-zione quanto mai attenta. Coloro che ri-sponderanno onestamente con loro stessi manifestano l’alienazione che questo sistema, questo pensiero debole, anestetizzante vuole propinarci. Esistono delle alternative però.
Prima di tutto, però, com’ è possibile essere e sentirsi liberi se siamo schiavi di noi stessi ? Siamo davvero in grado di gestire un’ipotetica libertà totale? Basti porre l’esempio della scuola considerata da molti come un carcere senza finestre, come un mattatoio.
Può un‟esperienza di servitù convertirsi in libertà con un pezzo di carta, col diploma ? Stesso discorso per la nostra tanto amata Università . Può una misera lotta al 30 e lode , al 110 , essere un motivo di orgoglio se la nostra capacità di critica e di confronto su ciò che ci riguarda sia nell’imminenza dello studio sia su ciò che concerne il nostro diritto al medesimo è pari a zero ?
E‟ concettualmente maturo infatti vivere ogni esperienza come un vincolo e non come una possibilità per esplicare noi stessi nel mondo ? Come se lo studente fosse un vaso da riempire: tale è stata la proposta educativa maggioritaria della scuola e dell’università moderna, ma tutto fa capo al disegno d’ impedire il ricambio generazionale della classe dirigente, favorendo la fuga dei giovani all’estero. In tal modo si rafforza la gerontocrazia, mentre la tanto celebrata generazione del futuro è rimasta nel futuro e non vive nel presente, non sta nella realtà ! Ci sarebbero da trarre ben poche eccezioni che, a ragion d’essere, sono diventate degne di elogio , di plauso, come le associazioni di beneficenza: un’umanità eroica però che è sempre più rarefatta. Quindi, la proposta educativa può e deve essere vagliata solo se vi è una critica attiva da parte delle nuove generazioni . Solo se vi è un dialogo costruttivo tra le varie generazioni che porti delle proposte in base all’esperienza virtuosa che ogni singola persona può proporre. Ma la capacità di critica non è nient’altro che un sinonimo di libertà. Gaber , ebbene, scriveva saggiamente che “la libertà è partecipazione”. Cosa ha voluto intendere con tale affermazione ? A cosa dovremmo partecipare per essere liberi ? Partecipare alla nostra vita, innanzitutto. Ponendo come obbligo morale la centralità e la dignità di ogni essere vivente. Tenendo conto che l’essere umano e la sua umanità sono dedotti dalla sua messa in relazione con gli altri : non solo con la sua specie, ma anche con gli animali e con le piante, con l’ambiente, con la Natura. L’accettazione della vita non come tragedia, ma come dramma. Traendo la nostra forza anche dalla sofferenza, dall’apatia, dalla perdita, dalla fine di un amore, dalla morte. La vita è la nostra possibilità per essere, per alzare la voce, per annichilire il nichilismo stesso, per esaudire il bisogno insostituibile di esser felici . La nostra salvezza è l’amore. Cosa supera difatti la barriera tra una società odierna, la nostra, dall’ambita comunità fraterna, se non proprio l’amore stesso verso la nostra vita, e quella altrui, insomma verso l’essenza fon-dante della politica: l’aggregazione libera per il diritto di ogni singolo elemento della comunità, al di là di ogni logica di partito. Ecco, bisogna prendersi cura delle vicende del prossimo, dei diritti di ogni persona, tutelando la democrazia tramite il rispetto e la tolleranza. Solo così il senso civico verrà ricostituito, tramite un atto di responsabilità. L’archetipo della comunità è dunque la libertà, che si esplica sotto forma di democrazia.
Ma la libertà avrà sostanza solo attraverso l’amore, tramite la condivisione di ciò che si ha di più caro. Occorre risvegliarci, trovare la nostra dimensione e voler modifi-care pragmaticamente la nostra realtà , partendo dai luoghi che oc-cupiamo ogni giorno, portando sul campo di battaglia ciò che apprendiamo, che studiamo, comprendendo che stare al mondo non è un optional e nemmeno un vezzo: è bensì un obbligo. Domandiamoci, seriamente, di chi e di cosa abbiamo bisogno e, forse, saremo tutti d’accordo su questo punto. Occorre non solo manifestare un dissenso, ma progettare pragmaticamente quindi un presente possibile insieme verso cui dirigersi e indirizzare ogni nostra energia. Il nostro obiettivo è di ristabilire un principio della morale, partendo dai fondamenti esistenziali della nostra Costituzione esistenziale per accedere alla Costituzione democratica. La libertà, che coincide con la re-sponsabilità, quindi si sperimenta al di là della vaga teoria, ma dalla partecipazione attenta a ciò che la vita ogni giorno ci sussurra, si urla , ci consiglia di fare. Aiutando le persone ad uscire dai loro ghetti. Come poter realizzare questo miracolo ? Siamo tutti in gioco e, noi de La Zanzara, vogliamo giocare !
“II Ribelle è il singolo, l’uomo concreto che agisce nel caso concreto. Per sapere che cosa sia giusto, non gli servono teorie, né leggi escogitate da qualche giurista di partito. Il Ribelle attinge alle fonti della moralità ancora non disperse nei canali delle istituzioni. Qui, purché in lui sopravviva qualche purezza, tutto diventa semplice.” (Ernst Jünger, Trattato del Ribelle, 1952).

Natale Anastasi

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