mercoledì 21 novembre 2012

LA GRANDE STORIA DEL TEMPO, di Alberto Giovanni Biuso


Stephen W. Hawking
Con Leonard Mlodinow
LA GRANDE STORIA DEL TEMPO
(A brief history of time, 2005)
Trad. di Daniele Didero
Rizzoli, Milano 2010
«BUR Scienza»
Pagine 204



Si tratta di una nuova versione, aggiornata e assai ridotta, del libro tradotto in italiano nel 1988 con il titolo Dal Big bang ai buchi neri. Un testo che ha rappresentato una sorta di canone popolare della fisica contemporanea, in particolare dei suoi contenuti cosmologici. L’Autore, infatti, così riassume il cammino dell’astrofisica del Novecento: «Abbiamo compreso l’irrilevanza del nostro stesso pianeta nella vastità dell’universo, e abbiamo scoperto come il tempo e lo spazio siano curvi e inseparabili, come l’universo si stia espandendo e abbia avuto un inizio nel tempo» (p. 102). Si tratta di scoperte o di ipotesi? Se le prime due affermazioni, infatti, sembrano certe -nei loro contesti- sulle ultime due invece il dibattito è aperto, tanto che lo stesso Hawking riconosce che una teoria scientifica «è soltanto un modello dell’universo (o di una sua parte limitata) e un insieme di regole che mettono in relazione i valori quantitativi che compaiono nel modello con le osservazioni che facciamo nella realtà. Questo modello sussiste solo nella nostra mente e non ha alcun’altra realtà (qualunque cosa si possa intendere con questo termine)» (21).
La teoria che Hawking sta cercando di elaborare nel corso dell’intera sua attività ha come obiettivo l’unificazione in un Tutto coerente delle quattro forze che intridono la materia: gravità, forza nucleare debole, forza elettromagnetica e forza nucleare forte. Nonostante il permanere dell’irriducibilità tra la prospettiva relativistica e la teoria dei quanti, l’obiettivo ultimo consisterebbe nel «trovare una teoria quantistica della gravità, un compito che finora nessuno è stato in grado di portare a termine» (148).  Il fatto è che la relatività generale ha dei limiti che vanno emergendo sempre più in tutta la loro portata, implicazioni, conseguenze e che erano chiari sin dall’inizio. Soltanto l’entusiasmo prodotto da idee tanto nuove e radicali, oltre che il rigore matematico della loro formulazione, ha nascosto tali limiti. Uno di essi è davvero clamoroso: «Quando una teoria predice delle singolarità come una densità e una curvatura infinite, è un segno che dev’essere in qualche modo riveduta. La relatività generale è una teoria incompleta, poiché non è in grado di dirci come l’universo abbia avuto inizio» (103). Ma questo non è un limite della sola ipotesi einsteiniana, è un limite della fisica in quanto tale, poiché «domande come “Chi ha predisposto le condizioni per il big bang?” non sono problemi di cui la scienza si occupa» (84). La questione non consiste  però nel trovare un nome o una qualsiasi identità a tale “chi”, il problema è un vuoto epistemologico, è l’assenza di una spiegazione completa, è la stessa singolarità come ambito nel quale le leggi elaborate dalla fisica non hanno più valore. Ma il limite più grave è ancora un altro. Se, infatti, le scienze fisiche ammettessero questo loro confine esplicativo e si ritenessero -quali sono- un linguaggio tra gli altri con i quali cercare di comprendere il mondo, ne seguirebbe la totale legittimità e valore dei loro assunti nello specifico ambito del loro linguaggio. E invece la fisica contemporanea ritiene spesso -non sempre, per fortuna- di essere l’unico linguaggio legittimato, autorevole, rigoroso. Tale atteggiamento si nota anche in Hawking, che nella pagina conclusiva del saggio deplora la filosofia e i filosofi in quanto i secondi «non sono riusciti a tenere il passo con il progresso delle teorie scientifiche» e la prima perché si sarebbe ridotta a una semplice analisi del linguaggio: «Che declino rispetto alla grande tradizione della filosofia da Aristotele a Kant!» (172).
Ma guardiamo un poco più a fondo dentro le teorie cosmologiche sostenute da Hawking e da molti suoi colleghi.
L’unificazione dello spazio e del tempo a partire dalle proprietà della luce è certamente un grande risultato ma non può ergersi a unica spiegazione della temporalità, la cui identità molteplice è fatta anche di memoria,  attesa, socialità, storia, biologia e non soltanto di movimenti di particelle. La soluzione al paradosso dei gemelli consiste nel superamento dell’idea di un tempo assoluto poiché «ogni singolo individuo ha una propria personale misura del tempo, che dipende da dove si trova e da come si sta muovendo» (60) ma, ancora, la propria personale misura del tempo non dipende soltanto dal luogo e dalla velocità del moto bensì anche dall’essere e dal sapersi parte di un flusso temporale che si origina nei gangli stessi della corporeità vivente, del Leib.
La congettura della protezione cronologica proposta da Hawking per evitare le gravi contraddizioni che ineriscono ai viaggi nel tempo -resi possibili dalla relatività- «afferma che le leggi della fisica concorrono per impedire che i corpi macroscopici portino informazioni nel passato. Questa congettura non è stata dimostrata ma ci sono delle ragioni per credere che sia vera» (141). Di congetture come queste non potremmo riempire il mondo e i libri allo scopo di superare ostacoli per ora insuperabili e incongruenze per ora irrisolvibili?
La teoria delle stringhe interpreta la forza gravitazionale esercitata dal Sole sulla Terra «come causata dall’emissione delle particelle portatrici di forza dette gravitoni» (153). Sono questo linguaggio e questa sostanza così diversi dalla vis dormitiva attribuita da un medico all’oppio e giustamente messa alla berlina da  Molière?
Prima di compatire la filosofia e porsi come suo superamento, i fisici -teorici o sperimentali che siano- farebbero bene a conoscerla meglio.


                                                                                             Alberto Giovanni Biuso

Nessun commento:

Posta un commento